Il counselling opera in ambito psico-educativo non sanitario: i suoi confini professionali sono più che un limite un’opportunità.
. Il Counsellor è un professionista che, trasversalmente a molte altre professioni, svolge la sua attività a stretto contatto con le persone, ricoprendo una posizione impegnativa e di grande responsabilità per la quale è prevista una formazione specifica.
Quando la formazione del counselling in Italia era agli albori, io me ne sono letteralmente innamorata. Intuivo che si stava presentando qualcosa di molto interessante e vitale ed ho iniziato a creare situazioni di lavoro, agendo secondo il modello molto gestaltico: “prima la pratica poi la teoria”. Che cosa mi attraeva? Allora penso che la ragione sfuggisse anche ai più coinvolti, ma ora è molto chiara: il Counselling ha dato avvio a un modello culturale inconsueto e innovativo poiché offre l’idea di un nuovo modo di vivere la relazione con se stessi e con gli altri in cui l’empatia, il contatto e la creatività sono in primo piano rispetto al rigido perbenismo dei ruoli. La ricerca del benessere personale acquista maggiore importanza delle regole e per superare l’ormai troppo diffuso “male di vivere”.
Con l’avvento di questa professione vi saranno persone che si specializzano in comunicazione e diventano esperte di relazioni umane. Da un lato vi è la speranza di coinvolgere e di aiutare quei professionisti che già lavorano nel campo della relazione d’aiuto e quotidianamente affrontano ogni sorta di situazione senza un’adeguata preparazione, ma supportati solo dal buon senso, dalla tenacia e dall’esperienza. Fra questi per esempio vi sono gli educatori di reparti psichiatrici, gli animatori di gruppi famiglia, gli insegnanti dei portatori di handicap… una schiera infinita di professionisti che lavorano a stretto contatto con persone che soffrono e sono affaticate e spesso in burn-out a causa dell’insufficienza di strumenti relazionali adeguati. La proposta formativa del Counselling però non si rivolge solo agli operatori ma si estende a ogni persona che desidera essere più esperta e competente in ambito relazionale e anche semplicemente a chi sente il bisogno di migliorare contatto con se stesso e con gli altri esseri umani.
Il Counselling si rivolge alle persone, a tutte le persone: questa è la grande risorsa e speranza. Per occupare un certo ruolo non si deve più fingere di essere esperti in comunicazione, anzi l’ignoranza è consentita e accettata perché è solo con questo spirito che può iniziare l’apprendimento. Non occorre essere malati per accettare di non saper come muoversi in qualche campo della propria esistenza, personale o professionale, e non è appannaggio dei medici e degli psicologi intervenire in tali disagi. Un essere umano che non ha avuto esperienze infantili di un buon ascolto empatico ha probabilmente difficoltà a creare dei buoni contatti e a relazionare con soddisfazione e reciprocità, ma può imparare queste qualità, mai appieno sviluppate ma virtualmente insite in lui, attraverso la relazione di counselling.
E’ credenza comune che l’empatia sia sostanzialmente un atteggiamento di disponibilità facilmente assumibile da ogni essere umano. La professione del Counsellor spezza questa illusione: l’empatia è in primo luogo “ascolto” che per rivelarsi efficace richiede impegno, maturazione, addestramento. Da un lato è consolante sapere che non importa essere bravi genitori per avere un figlio ma si può imparare a esserlo, si possono acquisire competenze specifiche per predisporsi all’ascolto, all’accoglienza, alla comprensione; d’altro lato occorre avere una buona dose di umiltà per accettare di non sapere ed essere disposti a assimilare un’arte che si presume insita nella natura umana. Per questo motivo un Counsellor ha nella sua formazione un percorso che coinvolge la sua persona, un training personale, poiché non è possibile ascoltare e comprendere un altro prima di avere ascoltato e compreso se stessi. Un percorso di Counselling mira a fare acquisire ai partecipanti la capacità di accompagnare altre persone a vivere le proprie inclinazioni, a instaurare relazioni soddisfacenti, a essere parte del processo creativo: un progetto ambizioso che è possibile se le persone sono motivate e disposte all’introspezione, a fare esperienza in prima persona, ad accettare di essere accompagnate verso se stesse.
I confini professionali del counsellor sono una grande opportunità: quella di occuparsi delle persone non in senso sanitario, medico o specialistico ma per lo sviluppo e la crescita di ciascun uomo sulla via dell’auto-realizzazione. I limiti interni alla professione, in termini di etica e deontologia, sono quelli di ogni professionista che si occupa di relazione d’aiuto, sia esso counsellor, psicologo o psicoterapeuta, che riguardano la conoscenza e consapevolezza di sé e dei propri sentimenti per accorgersi se si sente in grado di aiutare quella specifica persona, di essere empatico e neutrale o invece se qualcosa di se stesso glielo impedisce. La sua etica professionale è riconoscere i propri limiti relazionali e di conoscenza e prendere adeguati provvedimenti. Come un cliente è libero di scegliere il suo counsellor così questi ha pieno diritto di accettare o declinare a proposta se sente di non poterlo accompagnare. E’ difficile negare una richiesta d’aiuto da parte del Counsellor non tanto per una questione di mancato guadagno, ma per la difficoltà di accettare il proprio limite, la non capacità, il senso d’impotenza, ma se l’etica viene rispettata e il NO viene pronunciato in genere si trasforma in qualcosa di positivo e salutare per entrambi: per il counsellor perché non si invischia in una situazione frustrante, per il cliente perché, superato il rifiuto, può accorgersi che al di là di tutto è stato rispettato come essere umano. Il limite e l’impossibilità sono qualità umane assolutamente rispettabili. Mi piace pensare ancora una volta a Fritz Perls come precursore e padre del counselling: egli definì la Gestalt un modo di vivere, una terapia anche per sani e questo è proprio ciò che è il counselling oggi.