Il più grande dono di un genitore a un figlio è il dono della libertà oltre che dell’amore, non trattenerlo a sé, lasciarlo sperimentare.
Chi di noi in coscienza può dire di aver non aver mai appreso nulla dai propri figli? La verità è che tutti noi costantemente impariamo nuove e affascinanti lezioni dai nostri figli, allievi, pazienti e clienti proprio mentre loro imparano da noi, cioè nei momenti in cui siamo in contatto autentico, in relazione empatica. Sono attimi rari e magnifici in cui siamo disponibili a guardare l’altro e ascoltarlo per percepire cosa sta sentendo e pensando, attimi che creano un profondo benessere in entrambi, sia in chi è ascoltato e si sente visto, che in chi sta osservando e ascoltando, perché pervaso da un senso di gioia e soddisfazione.
Quando parlo di “crescita sana” quello che intendo non è semplicemente parlare della crescita dei nostri figli, allievi, clienti, ma della crescita di tutti noi che continuamente dobbiamo reinventarci per far fronte a nuove difficoltà e necessità, tutti noi indistintamente qualsiasi sia l’età e ruolo che ricopriamo. Siamo esseri umani in cambiamento, sinonimo di crescita, perché indica il continuo movimento di ciascuno verso se stesso nella sua peculiarità e verso la sua espansione creativa.
La nostra meta comune è dare senso alla nostra vita e per farlo occorre che ognuno dia il proprio apporto, il proprio contributo personale all’evoluzione collettiva, coltivando in primis il luogo del desiderio e della libertà, i valori etici quali empatia e ascolto, per arrivare alla creatività e all’arte che non possono vivere senza libertà.
Se una persona quando diventa genitore non è più interessato a apprendere perché si immerge nella sua nuova missione di educare, facilmente assumerà una posizione narcisistica e rigida da cui potrà trarre potere e forza, ma la sua esistenza inizierà a impoverirsi, a essere meno viva, svaniranno le capacità di meravigliarsi e gioire di cuore nel contatto con gli altri.
Se entrando nei “ruoli” non si fa attenzione facilmente si viene travolti dal peso del trasmettere le tradizioni e dal vantaggio per la nuova posizione autorevole, più che dal piacere intenso di essere diventati genitori e poter amare e seguire la crescita di una meravigliosa creatura bisognosa di tutto. Voglio dire che non è mai saggio perdere di vista il proprio desiderio e il proprio piacere, tanto più quando siamo genitori e educatori, perché sono la strada maestra per la realizzazione; parlo del desiderio non fine a se stesso, ma legato al bene superiore della realizzazione creativa e affettiva.
Solo allargando l’ottica e stravolgendo la nostra visione possiamo fare con i nostri figli, qualcosa di più e di diverso da quello che abbiamo appreso. D’altra parte come potremmo restituire un qualcosa di cui non abbiamo esperienza? E così che la cultura dominante viene tramandata di generazione in generazione e noi siamo parte di quella catena interminabile che potremmo chiamare “trasmissione di insoddisfazione”.
In realtà l’educazione non ha tanto a che vedere con l’apprendimento e l’allineamento alle regole; allora come dobbiamo muoverci, cosa dobbiamo fare? Questo è il punto interessante cui volevo arrivare: solo da una posizione di smarrimento profondo, l’intuito e la creatività funzionano. Solo da questo luogo, chiamato vuoto fertile, possiamo di inventare qualcosa di nuovo, dare avvio a un’azione che parte da ciò che sentiamo e pensiamo e non da ciò che dobbiamo. Nelle sedute di counselling si raggiunge questo luogo facendo sentire il cliente all’angolo finché non è disposto ad alzare lo sguardo verso nuove prospettive, ed è quello che dobbiamo fare con noi stessi, far tacere le nostre certezze per cercare di vedere oltre.
Il processo di crescita ha a che vedere con l’espansione creativa; questo è uno dei concetti fondamentali della nostra missione educativa: sostenere la creatività dei nostri figli, allievi, clienti. Mi ero ripromessa che oggi non avrei parlato del problema delle regole nell’educazione perché è un discorso che crea sempre scalpore ma a mio avviso un po’ noioso, poi l’incontro virtuale con un video di Recalcati mi ha fatto cambiare idea! Recalcati dice che anche i genitori più irremovibili nel credere che educare sia allineare i ragazzi alle regole, sanno benissimo che non è vero, sanno benissimo che se danno un orario di entrata il più delle volte il figlio non lo rispetterà! Se lo rispettasse e non si divertisse per l’incubo di ritornare in orario, allora si che sarebbe preoccupante, se si allineasse alle regole e ogni sera tornasse alla stessa ora sarebbe da curare, allo stesso modo come se stesse fuori fino al mattino senza avvisare!
Perché le leggi umane fondamentali del buon vivere i ragazzi le integrano dentro di loro in altri modi; le regole servono più per essere infrante più che per essere rispettate e trovare poi una giusta misura fra i propri desideri e le regole stesse. Là dove la regola viene infranta e si soffre per il senso di colpa ha luogo l’espansione della mente e la nascita dell’azione creativa. E’ importante rompere con le idee stantie della sottomissione al dovere, alla tradizione, al sacrificio, e accettare l’dea della trasformazione del sacrificio in desiderio. Quando diciamo ai nostri figli: quanto mi sono sacrificata per te, non è vero, mi sono donata a te e l’ho fatto per seguire un mio desiderio profondo.
I “doverismi” sono strumenti utili al mantenimento dello stato sociale in quanto è più facile governare su persone sottomesse e rinunciatarie piuttosto che su uomini liberi, indipendenti, creativi che vogliono cambiare il mondo. Il sistema sociale ci preferisce integrati e nevrotici e questa preferenza attecchisce perché noi stessi abbiamo dentro questa tendenza a essere animali da soma: abbiamo due anime, due opposte tendenze interne in continuo conflitto: da un lato desideriamo essere liberi, indipendenti e creativi, dall’altro preferiamo la sicurezza del gregge, abbiamo bisogno di stare nella nostra terra, nella nostra casa, fra persone conosciute. La consapevolezza di questa polarità interna ci rende liberi, possiamo scegliere di volta in volta, ma spesso ci allontaniamo dalla nostra stessa anima, dalla consapevolezza della nostra follia creativa e di conseguenza dalla possibilità di realizzazione in ogni ambito della vita, lavorativa e relazionale. Parlo anche di relazioni d’amore che è il nostro più grande bisogno e desiderio da quando nasciamo a quando moriamo: amare ed essere amati; ma l’amore come l’arte vive se c’è libertà, non sottomissione.
Vi propongo di pensare all’educazione come una appassionata richiesta che viene da entrambe le parti della relazione, nella quale uno chiede di essere amato, sostenuto e protetto, l’altro desidera amare, sostenere e proteggere.
Certo, detto così sembra semplice oltre che meraviglioso: i bisogni di due persone si incontrano e si integrano! La difficoltà è che in questo scambio gli ingredienti attualmente in uso sono per lo più inefficaci all’educazione stessa, alla salute e al benessere: autorità, ammaestramento, controllo, inoltre giudizio, critica e consiglio. Una mix fatale che scatena, in chi lo riceve, emozioni di rabbia, paura, ribellione, impotenza, disillusione, minando alla base quell’amore incondizionato per i genitori di cui ogni bambino ha bisogno per vivere.
La visione che suggerisco sostituisce questi ingredienti con altri: sensibilità, consapevolezza, creatività, ascolto di sé, addestramento alla capacità logica, etica, intuitiva, empatica. L’empatia è una delle qualità più importanti per avere relazioni soddisfacenti, ma come faccio a rendermi conto di cosa sta vivendo e sentendo un’altra persona se non sono consapevole di cosa sto sentendo e desiderando io stessa? Spesso lavorando con le coppie mi accorgo di questa enorme difficoltà di comprensione profonda di come le proprie parole e azioni ricadono sull’altro; difficile che una persona intuisca veramente cosa sente l’altro, come vede il mondo, i suoi valori.
Anche nel campo dell’empatia aleggia una forma di arroganza: si presume di sapere cos’è bene per i propri figli, non perché li si ascolta e li si comprende, ma per il semplice fatto di essere i loro genitori! Un pensiero illogico e assurdo è credere che la persona che abbiamo generato ci appartenga a tal punto da non riuscire a considerarlo un essere umano separato e diverso.
Ci chiediamo: come entrare in questa dimensione di ascolto, crescita e soddisfazione reciproca? Noi sappiamo che i figli imparano da ciò che i genitori fanno più che da quanto dicono e quindi se desidero per mio figlio una vita creativa devo essere io stessa in un cammino di realizzazione, se desidero addestrarlo al sentire il primo passo sarà di addestrare al sentire me stessa. Penso che solo dopo molta esperienza si diventi più saggi e si comprenda l’efficacia di agire per trasmissione di coscienza.
A sostegno di questa visione vi è un concetto importante e a me molto caro in Gestalt chiamato “Autoregolazione Organismica” secondo il quale l’essere l’umano cresciuto in un clima d’amore accoglienza e protezione, tende ad andare spontaneamente verso l’auto-realizzazione e l’auto-regolazione. La parola “organismica” coinvolge tutto l’individuo: anima, corpo, mente. Secondo Perls i bambini, finché non sono sviati e allontanati da se stessi dalle pressioni ambientali, dalle aspirazioni degli adulti, dai loro dubbi, divieti e paure, posseggono una saggezza interna che li guida, li auto-regola e li porta a sapere cosa è buono per loro. Vi sono studi di Neuroscienze sull’intelligenza infantile a sostegno di questa tesi, ma per noi è difficile adottare quest’ottica e lasciare i nostri figli liberi di autoregolarsi e sperimentarsi per esempio nei cicli di sonno e veglia, nel cibo, nel gioco. Probabilmente mangerà schifezze, si appassionerà a giochi di lotta, giocherà troppo con il computer e con il telefonino, ma se si sentirà libero di scegliere e sostenuto nell’errore diventerà capace di autoregolazione. Apprendere sperimentando è l’unico modo di imparare a vivere per i bambini e per gli adulti che desiderano mantenere una mente aperta, creativa, intuitiva.
Anche l’addestramento all’ascolto empatico, all’intuito e alla sensibilità può essere fatto solo per via esperienziale cioè per prove ed errori, un sistema non ben visto da chi non tollera l’errore e richiede la perfezione. Purtroppo l’errore, anziché essere considerato indice di coraggio perché una persona ci prova nonostante le difficoltà, è accolto con critiche e rimproveri.
Un fatto bizzarro ad esempio è come sono accolte le nuove passioni dei nostri figli: questo momento storico che non è più il mondo contadino dei nostri padri o nonni, ma è il mondo di internet e delle nuove tecnologia che portano a sperimentare nuovi modi di vivere e comunicare, molti adulti sono spiazzati e totalmente critici! Ma a ben vedere non cambia nulla dal passato: i nostri genitori erano critici verso di noi e noi lo siamo verso i nostri ragazzi; è cambiato quello che le persone fanno e le loro abitudini, ma non l’atteggiamento relazionale il cui il messaggio non è quasi mai di sostegno, e anche quando le parole sembrano rassicuranti lo sguardo e il tono sono critici.
Accompagnare i figli a crescere significa proteggere lo sviluppo delle loro specifiche tendenze verso l’auto-realizzazione, affinché dal sostegno esterno arrivino all’auto-sostegno. La sicurezza in sé dell’uomo adulto e la capacità di auto-sostegno hanno origine in tenera età e in seguito sono valori da coltivare: l’autostima infatti non è un qualcosa di statico, ma dipende dalle nostre azioni, da come affrontiamo le difficoltà e le sfide che incontriamo. Imparare fin da bambini a distinguere i propri bisogni da quelli degli altri non è cosa facile, ma la critica e la disapprovazione di certo non aiutano.
Un altro mito curioso è l’adolescenza, età temuta da genitori ed educatori perché devono misurarsi con dei ragazzi che, avendo sviluppato energia e forza, pretendono maggiore autonomia. L’adolescenza, vista in questo senso è più un problema degli adulti che dei ragazzi e accompagnare alla crescita significa anche qui portare il ragazzo a contatto con la propria forza perché sia in grado di reggere le trasformazioni e l’ambivalenza di emozioni insite alla nostra natura umana.
Quando un genitore chiede aiuto terapeutico per il proprio bambino o ragazzo, la mia prima richiesta è se è disposto lui stesso a mettersi in discussione perché sono convinta che se riesce a cambiare qualcosa nella relazione con il figlio, quella sia la migliore terapia.
Per concludere vorrei fare un accenno ai fenomeni primari che stanno alla base di una crescita sana: il riconoscimento, il rispecchiamento e la rassicurazione.
- Il riconoscimento è l’esperienza del bambino che sente di essere guardato dal genitore con amore e apprezzamento; è il luccichio negli occhi della madre per la gioia di guardare la sua creatura, un amore non invischiato da pretese, una specie di innamoramento dovuto semplicemente al fatto che lui o lei è al mondo! Uno sguardo riconoscibile da chi lo riceve, molto diverso dagli sguardi colmi di richieste e disapprovazione a cui siamo soliti.
- Il rispecchiamento nasce anch’esso dall’esperienza dello sguardo: il bambino farà suoi gli occhi del genitore e guarderà se stesso nel modo in cui è stato guardato, con benevolenza o al contrario con disapprovazione e rimprovero e questo lo accompagnerà tutta la vita.
- La rassicurazione è l’esperienza che da tutto ciò deriva: il bambino sentendosi incoraggiato dall’accettazione che riceve saprà a sua volta guardare con benevolenza gli altri, saprà rassicurare, proteggere, essere generoso. E’ fondamentale: sentendosi riconosciuto saprà istintivamente, diventando adulto, riconoscere gli altri, dargli valore, mostrare interesse, suscitare interesse, creare alleanze.