Genitori e figli per una crescita sana

Margherita Biavati

La crescita sana di ogni essere umano risiede essenzialmente nell’essere amati e protetti nello sviluppo della propria specificità.

Nella nostra letteratura educativa il processo di crescita del bambino viene rappresentato frammentato e parcellizzato; sono descritti i bisogni del bambino dal primo anno di vita a seguire, anno per anno o addirittura mese per mese, dalla nascita all’adolescenza e oltre, in un’ottica generalizzante in cui le differenze individuali svaniscono artificiosamente. Si tratta spesso di teorie spersonalizzanti, schematiche e poco attendibili che anziché stimolare la riflessione allontanando le persone dalla qualità fondamentale del processo educativo: il contatto empatico, fatto di benevolenza, accoglienza, amorevolezza.

Il fatto che l’empatia si risolva prevalentemente in un atteggiamento di disponibilità facilmente assumibile da ogni essere umano è un’illusione da stroncare, infatti fa nascere la presunzione nelle persone che diventano genitori, docenti, etc. maestri, di sapere intuitivamente cos’è bene per i propri figli e allievi. L’atteggiamento empatico,  saper ascoltare l’altro e sapersi calare in lui per vedere il mondo dal suo punto di vista, è difficile da imparare e richiede in primo luogo la capacità di “ascolto di sé”; per rivelarsi efficace esige un lungo e impegnativo addestramento. Purtroppo nella nostra cultura educativa vi è una deliberata omissione di questo insegnamento per la sua valenza a dir poco poderosa: avvia al libero arbitrio, alla comprensione di sé, all’auto-affermazione, in sostanza aiuta la crescita di individui non sottomessi socialmente.

Essere capaci di comprendere ciò che sentiamo, pensiamo e vogliamo, cioè le nostre emozioni, pensieri e desideri, sapendoli distinguere da quelli degli altri, porta da un lato a sentirsi centrati e soddisfatti delle proprie scelte, dall’altro ad essere genitori coscienziosi e attenti allo sviluppo dei propri figli, i piccoli membri della più piccola società umana: la famiglia. Essere persone realizzate e creative ha anche un’altra valenza: quella di sentirsi potenti, non succubi degli avvenimenti e, senza sminuire le continue battaglie che ciascuno deve affrontare nel quotidiano, stimola ad agire con i propri figli nel rispetto dei valori umani fondamentali e al tempo stesso a contagiarli e ispirarli agli stessi valori di libertà, comprensione, consolazione, rassicurazione, benevolenza, amore.

L’addestramento all’empatia, all’intuito e alla sensibilità può essere fatto solo per via esperienziale cioè per prove ed errori, un sistema poco ben visto nelle famiglie e nelle scuole dove al contrario la richiesta è quella di non sbagliare, di fare le cose in modo perfetto e l’errore, anziché essere indice di coraggio perché una persona nonostante la difficoltà ci prova, è bollato e disapprovato.

Una crescita sana risiede essenzialmente in quanto accade di buono fra genitore e figlio nei primi anni di vita e nel vissuto positivo di quelle prime esperienze e attimi di storia definite come: riconoscimento, rispecchiamento e rassicurazione.

  • Il riconoscimento è l’esperienza del bambino che sente di essere guardato dal genitore con amore e apprezzamento; è il luccichio negli occhi della madre per la gioia provata nel guardare la sua creatura, un amore puro non invischiato da pretese di alcun tipo, una specie di innamoramento dovuto semplicemente al fatto che lui o lei è al mondo! Uno sguardo intenso riconoscibile da chi lo riceve, molto diverso dagli sguardi colmi di disapprovazione a cui siamo stati abituati.
  • Il rispecchiamento nasce dall’esperienza dello sguardo perché il bambino senza accorgersene farà suoi gli occhi del genitore e guarderà se stesso nel modo in cui è stato guardato, con benevolenza o al contrario disapprovazione e questo lo accompagnerà tutta la vita.
  • La rassicurazione è l’esperienza che da tutto ciò deriva: il bambino sentendosi incoraggiato dall’accettazione che riceve saprà a sua volta guardare con benevolenza gli altri, saprà rassicurare e proteggere. In questa esperienza risiede la nascita della generosità e la capacità di costruire alleanze. Non è poca cosa: come il piccolo si è sentito riconosciuto nella primissima infanzia così saprà, diventando adulto, riconoscere gli altri, creare situazioni sociali buone, mostrare interesse e suscitare interesse.

Il concetto gestaltico a sostegno di questa visone è la fede nell’uomo, per cui un bambino, cresciuto in un clima d’accoglienza, amore e protezione, tende spontaneamente verso la propria auto-realizzazione. Pochi di noi hanno avuto questa esperienza: in genere abbiamo dovuto lottare in famiglia sulla scelta della scuola, degli amici, dello sport, del ragazzo, del lavoro… Abbiamo sofferto ma poi ce ne siamo dimenticati e come genitori imponiamo senza rendercene conto lo stesso rigore ai nostri figli, ma anziché chiamarlo autoritarismo usiamo il termine controllo e protezione, in sostanza la stessa cosa.

Dice Perls che i bambini finché sono piccoli “sanno” cosa è buono o meno per loro, almeno fino a che non sono stati sviati dai desideri degli adulti su di loro, dai loro dubbi, divieti, paure. Il concetto di “Autoregolazione organismica” è alla base dell’approccio gestaltico. La parola “organismica” è interessante perché coinvolge tutto l’individuo: anima, corpo, mente: se una persona non è stata allontanata da se stessa ha una saggezza interna che la auto-regola. Facciamo fatica a credere che un bambino anche piccolissimo sappia naturalmente quando ha bisogno di dormire e mangiare e anche cosa mangiare, e l’unico modo per raggiungere questa certezza è lasciarlo libero di esprimersi e sperimentare  Probabilmente mangerà schifezze per sperimentare, ma sentendosi libero di scegliere diventerà il bambino più autoregolato della terra. Ammetto che ci vuole tanto coraggio e tanta dedizione in questi frangenti.

Questo sistema educativo agli adulti incute timore. Abbiamo tanto disprezzato il nozionismo con cui siamo stati educati e facciamo lo stesso con i nostri ragazzi; diamo per scontato che non gli vengano naturali dei buoni comportamenti e così impartiamo insegnamenti su ogni cosa: gli diciamo cosa fare, mangiare, quando dormire, tentiamo di imporre persino i ritmi con cui fare le cose: dallo studio, ai giochi, allo sport, al cibo. L’elenco delle regole e degli ordini non finiscono più e quasi tutte sono senza logica, né saggezza. Gli adulti imperano sulla vita dei loro figli, finché questi glielo permettono, perché credono di sapere cosa è bene per loro, ma anche purtroppo per un semplice e arbitrario diritto acquisito non detto.

Con questo non voglio sminuire l’importanza delle regole, senza le quali sarebbe impossibile qualsiasi convivenza civile e sociale, comprese la famiglia e la scuola. Intendo dire è di considerare regole e norme per quello che sono, linee guida di comportamento con cui le persone devono confrontarsi, ma non più importanti delle persone stesse, dei loro bisogni, pensieri, intuizioni. Regole e norme importanti, ma non assolute, che servono a facilitare la vita sociale degli individui a tutti i livelli dell’esperienza, dalle piccole alle grandi cose, dal lavoro, alle singole attività della giornata. Considerare le persone più importante delle regole è un concetto difficile da assimilare e necessita di una buona dose di flessibilità e sensibilità per metterlo in pratica. Genitori e educatori sanno che l’aiuto veramente necessario per i bambini è di essere accompagnati nella ricerca e sviluppo delle loro specifiche tendenze, verso l’auto-realizzazione e l’auto-sostegno, proposito impossibile se li faranno crescere nel dubbio e nella rigidità.

La sicurezza in sé e nel proprio valore e la capacità di auto-sostegno sono il sottosuolo su cui ognuno di noi cammina, la cui formazione inizia in tenera età e può diventare più o meno fermo, solido o franoso. L’autostima non è un qualcosa di statico, ma dipende da come sappiamo affrontare le continue sfide e difficoltà che nella vita incontriamo. Crescere imparando fin da bambini a fidarsi di sé, a comprendere i propri bisogni e saper rapportarsi agli altri è la pietra miliare di questo cammino. Poi vi è l’età dell’adolescenza, tanto temuta da genitori ed educatori, che sentono sfumare il loro potere e non sono preparati a misurarsi con dei ragazzi che avendo sviluppato energia e forza, pretendono maggiore autonomia. Accompagnare i bambini nella crescita significa portarli a contatto con la propria forza in modo che siano in grado di reggere le trasformazioni, i cambiamenti e l’ambivalenza di emozioni imposti dalla crescita stessa, sino a divenire adulti.

Per questo motivo quando un genitore mi chiede aiuto terapeutico per il proprio bambino o ragazzo, la mia prima reazione è se è disposto lui stesso a venire in terapia, perché sono convinta che se riesce a cambiare qualcosa nella relazione con il figlio, il successo è assicurato, infatti essendo il naturale e più importante punto di riferimento del figlio è, a quell’età, il miglior terapeuta. Da questo concetto si deduce che la culla dell’insegnamento è l’affettività senza la quale, nel processo educativo, i messaggi non passano. L’amore è il tappeto naturale sul quale poggia ogni insegnamento e apprendimento.