Libero le note e libero me stesso

Luca Pietta

Quando suono parlo di me, mi abbandono alle note che intuitivamente scelgo come le più adatte a esprimere ciò che sento.

Consapevolezza è una parola da cui sono allo stesso tempo attratto ed intimorito. Attorno ad essa c’è un cammino da vivere piuttosto che una serie di nozioni da apprendere, un fare esperienza di sé e insieme un fare esperienza degli altri, relazionarsi. La relazione come incontro autentico con l’altro e con se stessi è senza dubbio una via di crescita talmente affascinante che trascina anche dove non si sarebbe mai voluti andare.

Polster nel suo testo “Ogni vita merita un romanzo” descrive bene come fondamentale sia la fiducia nell’essere umano, quell’essere che ha dentro di sé un romanzo da raccontare. Questa fiducia respirata ed esperita è chiave di lettura per il romanzo di ciascuno. La consapevolezza diventa così un’occasione unica per scegliere con responsabilità e la fiducia ingrediente importante per andare verso il cambiamento.

Nel counselling a mediazione artistica l’arte diventa strumento per dialogare con gli altri e con noi stessi, una porta privilegiata. Quando ad esempio ascoltiamo una musica accade che senza chiedere il permesso le emozioni si affacciano e difficilmente riusciamo a controllarle nell’immediato. La stessa cosa succede guardando un quadro, assistendo ad uno spettacolo teatrale, leggendo un libro che ci cattura, vedendo una danza. Questo è il potere dell’arte che entra in dialogo con noi e fa sì che possiamo risuonare liberamente in un sentire che non è mai fine a se stesso, ma che sempre è portatore di un messaggio interessante, specifico, presente. In questo la Gestalt abbraccia l’arte in modo completo e la usa come mezzo per lavorare nel “qui ed ora” che sta alla sua base.

Per me che suono il pianoforte da quando sono bambino, per un breve periodo a lezione da un maestro e poi come autodidatta, è stata una sorpresa vedere come la musica suonata è cambiata durante questa ricerca di verità. Ho cominciato a chiedermi “cosa succede quando suono?”, “come mi sento?”.

Inequivocabilmente quello che suono dice qualcosa che mi riguarda, lo dice a me e agli altri. Liberarsi nelle note è scegliere quali sono le più adatte a esprimere ciò che sento e seguirle, la stessa cosa che fa uno scrittore con le parole o un ballerino con i movimenti del corpo.

Se pensiamo a tutte le volte che ascoltando una canzone, un suono, una voce, un rumore, torniamo a particolari vissuti, riviviamo stati d’animo o ci tornano alla mente immagini, colori e profumi, possiamo facilmente creare una colonna sonora della nostra storia. Ascoltarla sarebbe un viaggio nel tempo, ma anche in noi stessi.

La musica in sé è carica di senso ed è un simbolo espressivo di chi la crea, ma allo stesso tempo è simbolo e acquista senso singolare per chi la ascolta. Partendo da qui mi sono accorto che il mio suonare il pianoforte senza pretese tecniche stava diventando un accompagnamento del mio percorso nella consapevolezza. Quando posso liberare nelle note del piano il vissuto della giornata, le tensioni o le gioie, il mio sentire di quel momento, mi aiuto a rimanere in contatto con me stesso. Non è lontano dalla realtà pensare che ognuno di noi nel momento stesso in cui si ascolta può sentire una musica che lo rappresenta, la sua musica, quella di quell’unico presente, legata ai conflitti, alle relazioni, alle gioie, alla vita.

Nel mio caso la musica si è trasformata durante questo percorso da esercizio estetico a forma creativa di espressione e infine via di ascolto empatico. Se esiste davvero una musica per ognuno di noi cosa potrebbe accadere se le nostre musiche potessero sentirsi, riconoscersi, rincorrersi? Nascerebbe una musica nuova, quella della relazione. E questo accade! Nell’incontro autentico c’è sempre un cambiamento, una novità, una nascita, ce ne andiamo diversi da come siamo arrivati, qualcosa è successo ed ha un buon sapore.