Il nostro essere possiede una saggezza interna: arrivare a fidarci del nostro sentire porta a una vita viva e appassionante.
Ho scelto questa espressione di Perls molto evocativa “la ragione selvaggia”, come se nella parte istintiva di ognuno di noi vi fosse la ragione più vera, forte, profonda e imprescindibile; un concetto simile a quello di saggezza primaria e autoregolazione organismica. Il messaggio è che il nostro corpo sa prendersi cura di noi e dovremmo fidarci del nostro sentire che sa indicarci la via migliore.
Il problema è che noi siamo molto lontani dal percepire chiaramente emozioni e sensazioni; siamo invasi dai ragionamenti e dal bisogno di controllare tutto e tutti e teniamo in poco conto ciò che sentiamo; a volte anche se ci accorgiamo cosa proviamo, trascuriamo le sue vere ragioni, dando interpretazioni che avvalorano i nostri pensieri distorti: in pratica ci raccontiamo delle balle. Non siamo stati educati a dare valore alle emozioni, al sentire e a cercare di distinguere il loro messaggio, per cui succede che l’impulso prende il sopravvento creandoci non poche difficoltà!
L’integrazione delle polarità, a cui la “ragione selvaggia” richiama, visto che per definizione la ragione non ha molto a che fare con l’impulso e la pazzia, è uno dei fondamenti della Gestalt, ed è tipica di ogni vita interessante, non monotona, non piatta. Se per esempio la ragione ci dice di andare da una parte e l’impulso da un’altra o se abbiamo due desideri interni l’uno in contrasto con l’altro, questa situazione conflittuale crea tensione, ma allo stesso tempo è uno slancio verso la trasformazione e la realizzazione. Se il conflitto interno è accolto, la persona riesce a muoversi in modo flessibile fra il sentire e il pensare, per cui vivrà una vita interessante e un buon contatto con se stessa.
Che cosa avviene nel contatto, a cui tutto il nostro essere spinge, di così importante? Due sono le facce di questa medaglia: il contatto con sé è essenziale per vivere una vita piena, il contatto con gli altri per creare buone relazioni; l’accorgerci delle nostre intenzioni e dei nostri desideri porta a un grande risveglio creativo, alla sensazione di essere in equilibrio, dotati di una particolare forza interna e volontà, alla capacità di dirsi la verità su ciò che si prova, si pensa, si vuole. In genere non siamo molto consapevoli delle nostre intenzioni: come per esempio quando ci sentiamo tanto innocenti nel dire frasi che colpiscono a morte l’altro riparandoci dietro al fatto che “avevamo buone intenzioni!”.
La differenza fra la l’intenzione e l’impulso è spesso confusa: dicendo qualcosa che ferisce l’altro l’intenzione non è innocente come raccontiamo; per esempio diciamo che beviamo un po’ di più per sentirci meglio, mentre sappiamo perfettamente che nessun eccesso di alcool crea benessere. Quindi perché beviamo? Perché facciamo azioni spinti da un input interno che non riconosciamo e non riusciamo a controllare. Per esempio ci diciamo che facciamo qualcosa di buono per nostro figlio quando gli mettiamo in ordine la camera, mentre sappiamo benissimo che lo facciamo perché quel disordine dà fastidio a noi, e una intrusione di territorio non può fare alcun bene a nostro figlio; allora ci arrampichiamo sugli specchi della buona educazione, ma intuiamo di agire spinti da un impulso aggressivo che non controlliamo e non riconosciamo, fino a quando non decidiamo di fermarci e ascoltarci. L’aspirazione non è diventare santi ma pienamente umani per renderci conto di quello che facciamo e di cosa i nostri atteggiamenti e comportamenti provocano negli altri.
Sul filo di questa chiarezza emozionale, ottenibile solo attraverso tanto addestramento, impegno e volontà, avviene il “contagio” e la trasmissione del sapere nelle relazioni. Il termine “contagio” usato da Naranjo quando parla del “contagio della libertà, della spontaneità, della fede nella vita” è molto significativo: si può contagiare una malattia o uno stato di salute, sostando nella malattia o sostando nella salute; è per contagio che gli esseri umani si trasmettono usi e costumi, imparano ad aver cura di sé, auto-difendersi, amare, odiare, essere generosi, rispettarsi reciprocamente, a essere liberi o schiavi.
La comunicazione può avvenire per contagio se vi è la capacità da parte del counsellor o del genitore di creare uno scambio tale per cui il messaggio si trasferisce all’altro semplicemente per come ci si pone, al di là di qualsiasi pratica: con un coinvolgimento profondo, interessati all’altro, umili e disponibili a riconoscere le proprie incongruenze. Da tutto questo appare ancora più chiaro come il contatto con se stessi sia la base necessaria della formazione professionale del Counsellor.
Perché è fondamentale contagiare alla libertà nell’educazione? In genere siamo molto vigili su questa tematica perché crediamo che la libertà sia un valore assoluto e ci conduca a essere separati e distanti dalle persone amate, in contrasto con l’amore, con l’unione, l’intimità. Pensiamo che se una persona è libera non avrà più limiti né confini, sarà sola e non saprà stare in alcuna relazione; nulla di più falso, perché non esiste libertà senza confini. Mi ha colpito l’esperienza di un collega che raccontava di un convegno sperimentale sulla libertà: a un certo punto si ritrovarono tutti nel salone principale e fu dato l’input che quello era un momento in cui tutto era possibile, qualsiasi argomento affrontabile: l’effetto di queste parole fu incredibile perché a nessuno veniva più in mente cosa dire e l’atmosfera si gelò a tal punto che i partecipanti a poco a poco sentirono il bisogno di uscire!
La libertà ha senso solo se vi sono confini: ognuno può fare cose diverse solo se agisce nell’ambito della realtà dove anche gli altri si muovono, dove ci sono delle regole sociali a cui si può obbedire ma personalizzare, cercando di spostare, seppur di poco, quei limiti un pochino più in là. Il grande problema della libertà semmai è legato al sapere cosa vogliamo, al recupero del sentire, indispensabile per fare buone scelte. Vorrei raccontarvi un episodio personale: sicuramente immaginate che ho cercato trasmettere a mio figlio il valore del sentire, e nonostante sapessi che era su quella strada, è successo qualcosa che mi ha veramente stupito; si tratta dell’ultima volta che ha dovuto fare una scelta importante in campo lavorativo; aveva parlato con varie persone per chiarirsi le idee, il suo boss, il commercialista, il padre, i colleghi; era passato già un po’ di tempo e alla mia domanda che cosa aveva deciso, rispose: “Questa notte aprirò le finestre e dormirò nudo sotto il chiarore della luna e immagino che domani sarà ispirato nel prendere la mia decisione!” Mi sono sentita felice per il suo sentirsi centrato e per come sapeva fluttuare fra la logica ed il sentire, a parte il grosso vantaggio che era estate e non si sarebbe preso un accidente! Un ingrediente principale oltre al saper stare in una posizione di flessibilità fra la logica e il sentire, è il coraggio: dobbiamo assumerci la responsabilità, ognuno per sé, di scegliere fra una vita noiosa e una vita almeno un po’ rischiosa.
La libertà crea tribolazioni in ogni relazione, con se stessi, con i figli, gli amici e in amore, ma sono convinta non vi sia altro modo interessante di vivere. Aldo Carotenuto, uno scrittore da leggere per quanto appassionanti e interessanti sono le sue opere, ha parlato di un uomo, Herman Hesse che ha saputo conciliare l’amore e la difesa per la propria individualità con il rispetto per il mondo e l’alterità restandone assolutamente affascinato; Hesse ci ha mostrato, attraverso i suoi vagabondaggi che senza l’amore per sé, neppure l’amore per gli altri è possibile e che odiare gli altri e non rispettare se stessi procedono sullo stesso sentiero che conduce inevitabilmente all’isolamento e purtroppo anche a cose peggiori.
Come posso nella relazione di Counselling contagiare alla libertà e veicolare la persona verso se stessa, alla ricerca del proprio sapere e sentire interno, affinché arrivi all’auto-sostegno? Più allargo la visione, sostando nella duplice posizione di partecipazione e indifferenza creativa, più il cliente sarà stimolato ad esprimersi e a svelare nel suo racconto il proprio mondo interno. In questo tipo di relazione è essenziale che il Counsellor rinunci a stare sul piedistallo del suo Ego e presunto sapere; più proseguo in questa professione e meno mi accapiglio con me stessa e con l’altro per difendere una posizione, ed è allora che tutto evolve in un mare di comprensione. La soddisfazione, che reciprocamente counsellor e cliente possono trarre è la gioia per l’intensità del contatto e della partecipazione:
1) partecipazione mia alla vita del cliente che mi ha dato fiducia, mi ha fatto entrare nel suo mondo interno e riappropriandosi del suo potere riprende a gestire con sicurezza la propria vita, le proprie scelte, i propri affetti;
2) partecipazione del cliente verso di me, perché è un regalo immenso percepire che qualcuno è coinvolto e interessato alla tua visione della vita.
Essendo la meta l’indipendenza a un certo punto arriva la chiusura: vi sono percorsi che, pur stagnando, non si arrestano mai perché nessuno ha il coraggio di chiudere. Nella relazione di counselling si crea una grande intimità, un’intesa di anime, che somiglia in qualche modo a quel sostegno da sempre desiderato, fra l’amabile e il burbero, difficile sia per il cliente da sciogliere che per counsellor lasciare andare un “figlio d’arte”; anche in quest’operazione aiuta il fatto di condurre entrambi una vita libera e piena, ognuno la propria. Quando parliamo di relazione d’aiuto parliamo di ascolto empatico, di accoglienza, di attenzione e siamo sempre un po’ restii a parlare d’amore, anche se siamo consapevoli che gli apprendimenti avvengono veicolati dall’affetto; abbiamo appreso dai professori che amavamo non solo per le loro parole, ma perché ci colpivano i loro gesti, la loro voce, il modo di porsi.
A questo punto ci chiediamo come contagiare alla libertà i figli? Se l’educazione avviene per contagio quale migliore regalo per un figlio che una vita vissuta in pienezza e libertà da parte dei genitori? Questo non mina certo la convinzione che i bambini hanno bisogno di un’accoglienza amorevole e protettiva per crescere e divenire adulti autonomi; tutta la teoria pedagogica e psicologica è concorde su questo tema: per una buona individuazione e separazione dalla madre è necessario aver vissuto un buon attaccamento, aver sentito nella pelle, nei sensi, nel cuore, il dono dell’amorevolezza, il famoso “sbirluccichio” negli occhi della madre che guarda il suo piccolo con un amore senza riserve. Due sono le caratteristiche, inseparabili l’una dall’altra, su cui porre l’accento:
1) educare al sentire emozionale significa già di per sé educare alla libertà, perché a che cos’altro serve il sapere riconoscere la propria verità emozionale se non a fare scelte libere, non legate ai doverismi e al giudizio esterno?
2) contagiare alla libertà prevede una vita vissuta pienamente senza il vincolo di schemi e ruoli prefissati. E’ una realtà strana la nostra perché quando, anche la persona più aperta diventa genitore, si offusca il suo sistema di riferimento ed entra in una dinamica super fusionale (simile all’innamoramento) in cui, in nome dell’amore per il figlio, sparisce: la nuova madre si sente spinta da situazioni arcaiche in una dimensione in cui, non solo non avverte più i propri bisogni e desideri, ma non riesce ad ascoltare neppure quelli del figlio e non sapendo come muoversi si aggrappa alle regole, a quello che dicono gli altri, entrando nel ruolo e nell’automatismo; lo scambio con il figlio diventa rigido, fatto di rituali e lo slancio appassionato dal cuore si perde e con esso il buon umore.
Non vi è molta differenza per descrivere come avviene il contagio alla libertà nella relazione con i figli e nella relazione con i clienti: la differenza principale è che ai clienti va ampliata la visione perché ritrovino la loro saggezza organismica, mentre i figli piccoli ancora non l’hanno perduta e se si desse loro fiducia, si credesse che il loro sentire è più autentico e credibile del nostro, educarli non sarebbe così difficile. Ci sono ora studi neurologici sull’intelligenza infantile giunti a queste conclusioni, ma chi è disposto a porsi in questa nuova ottica e a fare un tale atto di fede? Uno di questi è stato Perls che ha basato la teoria della gestalt sulla fede nella capacità spontanea dell’uomo di autoregolarsi, capacità che perde a causa delle asperità della vita, ma può ritrovare nei percorsi evolutivi. Come genitori se capovolgessimo la prospettiva comune e crescessimo i nostri figli ascoltandoli e credendo in loro che ancora non sono nevrotici o isterici come noi e inoltre continuassimo a occuparci delle nostre vite, anziché stargli addosso, contrariarli e controllarli, la relazione con loro raggiungerebbe livelli di comprensione reciproca mai neppure sperati. Abbiamo sostituito l’autoritarismo con cui siamo stati cresciuti con il controllo, ma altro non è che il volto mascherato dello stesso potere.
Che cos’è il contagio della libertà nelle relazioni d’amore? Innanzitutto ci chiediamo se esiste! Personalmente amando in egual misura la libertà e l’amore non potrei fare a meno della grande battaglia che accompagna questa dualità, sebbene sulla mia pelle abbia vissuto esperienze difficili in cui sembrava che una cosa escludesse l’altra. A volte, anche se sperimentiamo che la continua vicinanza con l’altro ci confonde, ci fa perdere il contatto con il nostro sentire, la nostra forza e i nostri obiettivi, abbiamo una paura terribile a porre confini perché crediamo che il partner si allontanerà e non ci amerà più e questa paura è insostenibile. L’innamoramento non è solo un sentimento, ma una droga potente che ci sposta e ci confonde: non possiamo vivere senza l’altro, piuttosto senza noi stessi! E’ una contraddizione alla logica e alla sensorialità, ma è quanto accade; l’innamorato ha una sensazione unica di rinascita, potenza e smarrimento al tempo stesso; siamo catapultati in tempi arcaici quando eravamo bambini e come tali, anche se abbiamo 30 o 80 anni, ci comportiamo, chiediamo all’altro di salvarci, sottrarci dall’amarezza della vita per darci quella felicità mai vissuta. Siamo disposti a tutto purché questo accada, anche a perdere l’autonomia di uscire senza chiedere il permesso, ma in cambio coltiviamo la segreta totalizzante pretesa di quando eravamo bambini, in cui qualcosa nello scambio d’amore è andato storto e l’adulto era colui che poteva tutto ma non lo concedeva; così roviniamo l’amore chiedendo e offrendo all’altro l’impossibile. Di nuovo siamo alla conclusione che per durare, anche l’amore erotico, l’amore di coppia, ha bisogno di due persone che vivono in libertà.
Rogers, il padre della psicologia umanistica, diceva che facendo terapia si accorgeva di fare politica perché accompagnava l’uomo verso se stesso, verso la propria liberazione. Polster e Naranjo ambedue allievi di Perls parlano di questo grande spirito innovativo che abbiamo la responsabilità di trasferire. Per Naranjo il nostro è un compito educativo universale troppo esteso per essere affidato alla terapia e al counselling e sostiene che tutto questo deve entrare nelle scuole per essere instillato nelle menti e nel cuore dei bambini; Polster propone l’espansione di questa liberazione a ogni livello della vita sociale e civile, partendo dalle riunioni di condominio! Tutti siamo portatori di questo messaggio sia come individui che come professionisti, tutti siamo responsabili a contagiare alla libertà perché questo contagio si espanda all’umanità intera per creare un mondo migliore.