La cura come presenza autentica

Margherita Biavati

L’essere autentico non evita il dolore necessario alla crescita ma è disposto ad attraversarlo per fede nella propria realtà organismica.

L’ispirazione fondamentale in Gestalt è la profonda fede nell’uomo, nel lasciarsi andare alla propria essenza interna, la fede nell’organismo umano e la pratica conseguente a questa ispirazione è la coltivazione della spontaneità che si attua restando aperti di fronte al dolore come al piacere.  L’essere autentico non evita il dolore necessario alla crescita ma è disposto ad attraversarlo per fede nella propria realtà interna, emozionale, organismica. Autenticità è allentare il controllo, riconoscere e dare via libera agli impulsi con una prospettiva oltre la liberazione e la libera espressione. Non è interessante esprimerci tanto per farlo, tanto per “buttar fuori”, per una catarsi, quanto per la ricerca di un aspetto più profondo di “andare oltre agli impulsi”.

Il piacere è un buon indicatore della strada verso noi stessi, non tanto per il valore del piacere in sé, ma come inclinazione verso una meta più grande. Questo è l’aspetto spirituale della gestalt: l’autenticità e la libera espressione degli impulsi verso una neutralità dagli impulsi stessi, verso uno stato di centralità in cui “non vogliamo nulla” ma semplicemente esistiamo; uno stato che gli orientali conoscono bene, ma estraneo e distante a noi occidentali. Per rendere l’idea è uno stato di dissolvimento dell’ego, del desiderio e della mente che dà accesso a un contatto con la profondità e la bellezza del nostro essere. Il nucleo del malessere non è quindi solo incapacità di autoregolazione organismica, ma perdita di questa posizione di centralità, saggezza, distacco, lucidità.  Autenticità è entrare nell’emozione reale qualsiasi essa sia, questo implica la fiducia nella follia; l’esperienza ripetutamente confermata insegna che mantenere uno sguardo forte e coraggioso di fronte alla follia, finisce per trasformarla in saggezza e ispirazione. Entrare nella nostra parte pazza serve a scoprire che si tratta di un pregiudizio più che di follia e il modo migliore per guarirla, l’atto più profondamente terapeutico, è “l’attraversamento” di quella esperienza per scoprire il fondo di verità insito in ciò che sembra pazzo ma che in genere è l’aspetto di sé rifiutato riguardante l’aggressività o la sessualità.

Autenticità è entrare in quello che c’è: il concetto forse è più comprensibile quando in Gestalt si parla del “qui ed ora”, della potenza racchiusa nella realtà del momento presente. In genere molte delle nostre energie sono impiegate a raggiungere l’immagine desiderabile proiettata davanti a noi e alle storie inconcluse del passato che ci provocano rancore, sofferenza, nostalgia.

Questo lavoro sul “qui ed ora” conduce a una coscienza di sé molto particolare che Perls descrive con l’idea del punto zero; questo concetto difficile e molto interessante diviene più comprensibile se pensiamo alla nostra esperienza dell’essere neutrali: mi riferisco a quei momenti in cui ci sentiamo “centrati” e tutto converge, le polarità anche le più contrastanti sembrano collaborare, sperimentiamo un senso di forza, di auto-sostegno e la sensazione di essere al posto giusto nel mondo. Obiettivo principale in gestalt è ristabilire il sentire organismico come condizione indispensabile per sapersi muovere verso se stessi, conquistare autonomia e indipendenza, perché crescere è passare dal supporto esterno all’essere appoggiati su se stessi.

La gestalt è più un’arte che una scienza e come ogni arte richiede grande impegno: oltre la coltivazione della spontaneità, necessita una grande capacità di attenzione, di precisone e di focalizzazione, cioè la capacità di andare al punto. In seduta durante l’ascolto, l’atteggiamento è duplice, da un lato mantengo l’attenzione verso il mondo esperienziale del cliente, dall’altro mi lascio ispirare dal mio mondo esperienziale e dalle mie immagini. L’atteggiamento è duplice anche nelle intenzioni, da un lato devo dare sostegno a ciò che è essenziale, vero, autentico, dall’altro sfidare e respingere quanto è infondato, falso, egoico. Com’è possibile fare questo? Perls paragonava se stesso a un chirurgo che aiuta la persona a riconoscere e rimuovere le parti “non vere” della personalità, diventando un “liberatore”. Un buon ascoltatore non sa solo ascoltare empaticamente, ma è anche un buon confrontatore; da un lato io m’interesso al sentire dell’altro, cerco di vedere il mondo con i suoi occhi e, mantenendo la mia individualità, mi calo nel suo personaggio nel rispetto anzi nel rilievo delle differenze; dall’altro io agisco profondamente nella relazione, non rimango agganciata ai giochi relazionali che mi propone, ma cerco di contagiare con la mia immaginazione, libertà e distacco. In questo modo trasmetto l’autenticità in seduta, una trasmissione che avviene per contagio nel contatto diretto:  “Il contagio della libertà, della spontaneità, della fede nella vita” C. Naranio.

Questo elemento del contagio tramite il contatto è un tema importante nella crescita degli individui perché si sa che i figli imparano da quanto i genitori fanno, più che da quello che dicono. Nella relazione d’aiuto è la stessa cosa, a volte le immagini sono importanti perché possono trasmettere un’atmosfera, non tanto per il loro specifico significato.
Nonostante questo è molto sviluppato fra i Counsellor il concetto del “saper fare” in coerenza ai presupposti teorici; solo dopo molta esperienza si diventa più saggi e si comprende l’efficacia assoluta dell’agire con la presenza per una trasmissione di coscienza, attraverso qualunque modalità e tecnica.

Per approfondire questo aspetto della gestione dell’aggressività e della frustrazione e nel contempo dell’empatia, dell’accoglienza e della compassione, ancora una volta pensiamo alla nostra esperienza di una relazione d’amore, di qualsiasi tipo coppia si tratti. Quando vi è il sentore che le cose funzionano bene? Quando, vicini all’altro, ci sentiamo bene, liberi e pienamente noi stessi, accolti con qualsiasi emozione, in un’atmosfera d’intimità tale per cui i conflitti possono essere liberamente espressi perché scompaiono in un mare di comprensione e soprattutto quando siamo sicuri che dopo il conflitto possiamo e sappiamo fare la pace.

Anche nell’amore quindi vi è un aspetto non di accoglimento, protezione o eros, ma di confronto, conflitto, lotta. L’aggressività, spesso vista solo come causa di comportamenti distruttivi e pericolosi, in realtà non è solo questo, è l’emozione che ci fa muovere verso le nostre mete e nei rapporti interpersonali ci permette di conquistare gli affetti di cui abbiamo bisogno per la nostra vita. Nella relazione d’aiuto s’instaura un altro tipo d’intimità fra le due persone, ma le regole del gioco sono le stesse; dopo aver recuperato la nostra saggia animalità, perché solo con la razionalità non sapremmo come muoverci, dobbiamo continuamente spostarci fra accoglienza e accoglimento del conflitto, riconoscendo la persona nella sua totalità e polarità.

Questo è il tema del riconoscimento: io ti riconosco e ti accetto così come sei e con il mio atteggiamento induco te a riconoscerti e accettarti con le tue polarità; ammettere di essere egoisti significa sostanzialmente accettare di essere umani, di essere come diceva Perls di se stesso: “mezzo figlio di Dio e mezzo figlio di troia”. Inizialmente la persona resta infastidita dal riconoscimento dell’altra parte di sé, non vuole mettere in luce le proprie polarità, né vuole vedersi con altri bisogni, desideri, obiettivi, limiti. Si tratta di non arrendersi, di lottare per la qualità della relazione, avere coraggio nell’essere portatori di autenticità, il che implica la posizione empatica per accorgersi di quello che sente l’altro e di quello che io sento per l’altro, tenendo sempre presente le polarità ancora in ombra. Non esiste luce senza ombra. In pratica bisogna saper mettere la persona all’angolo sino al momento in cui non è disposta ad alzare gli occhi per avere una visione più ampia, per entrare in contatto con le sue istanze interne, i suoi personaggi, le sue polarità, senza il riconoscimento delle quali non può avvenire nessuna trasformazione.

Essere in contatto significa avere una relazione in cui le azioni dell’uno hanno effetto sull’altro, ognuno riesce a influenzare i comportamenti e la coscienza dell’altra persona. Il counsellor in seduta non solo è in contatto con l’altro, ma supporta alternativamente le sue personalità interne, affinché si ascoltino, si capiscano ed esprimano quello che sentono e vogliono l’una dall’altra. Vivere profondamente il conflitto degli opposti può far sentire confusi e disperati ma è una buona strada verso la libertà di essere e di agire in conformità con se stessi, verso la propria realizzazione.

Come contagiare alla libertà? La capacità di un counsellor è anche proporzionale alla rinuncia narcisistica, la sua forza risiede nel presentarsi autenticamente e non avere timore di perdere la faccia. Per sostenere e contagiare autenticità e libertà è indispensabile una buona dose di coraggio per lasciarsi vedere, nella propria fragilità, assurdità, incongruenza… Se sei libero e non t’importa di fare brutta figura, puoi trascinare anche l’altro nella stessa direzione perché inizi a occuparsi di qualcosa di più sostanziale dell’apparire, verso la sua piena realizzazione come essere umano. Il rapporto con il cliente rievoca in parte il rapporto genitori-figli: caratteristica comune è la volontà di sostenere l’altro sino a quando non trova la forza di camminare da solo nel mondo. Oltre le qualità dell’empatia e della neutralità che hanno la facoltà di infondere fiducia, altra sostanziale caratteristica è lasciarsi vedere con i propri limiti perché induce l’altro ad accogliersi integralmente nella propria umanità e a diventare capace di amare.