Introduzione
L’uomo moderno vive uno stato di bassa vitalità e creatività. Egli è un automa che non sa cosa vuole, girovaga senza sapere cosa realmente desidera. Di solito è annoiato, distaccato o irritato. Sembra aver perso ogni capacità di esprimersi direttamente con spontaneità. E’ bravissimo a parlare dei suoi guai ed è del tutto incapace a tener loro testa. Ha ridotto la vita a un insieme di esercizi verbali o intellettuali, si annega nelle parole. Alla vita ha sostituito le spiegazioni psichiatriche della vita.
Quest’opera è stata scritta nella convinzione che l’uomo può vivere una vita più piena e ricca di quanto la maggior parte di noi vive adesso. Inoltre, è scritta nella convinzione che l’uomo non ha ancora scoperto la propria energia ed entusiasmo potenziali. Si è tentato di unire la teoria e la sua applicazione pratica ai problemi della vita quotidiana.
Fondamenti: Psicologia della Gestalt
Gli psicologi tedeschi della Gestalt intuirono che l’uomo percepisce i fenomeni non come elementi distinti e sconnessi, ma li organizza mediante il processo percettivo in insiemi significativi. Ad esempio, un uomo che entra in una stanza piena di gente non percepisce semplicemente macchie di colori in movimento. Percepisce la stanza e la gente come un’unità. Ad un certo punto predomina un elemento, scelto tra tutti quelli presenti, mentre gli altri retrocedono nello sfondo. La scelta dell’elemento viene fatta in conseguenza a diversi fattori che possiamo raggruppare sotto il nome di interesse. L’interesse cambia da persona a persona e determina il tipo di realtà riconosciuta. Se ad esempio nella sala di ricevimento ci sono un artista e un ubriacone, l’artista sarà attratto dai quadri e lascerà tutto il resto sullo sfondo, mentre l’ubriacone cercherà le bottiglie di alcolici e lascerà tutto il resto sullo sfondo.
Processo Omeostatico
La vita, come il comportamento, sono governati dal processo di autoregolazione che gli scienziati chiamano “omeostasi”. Attraverso questo processo l’organismo conserva il suo equilibrio e la sua salute mediante la soddisfazione dei propri bisogni. Quando l’organismo rimane troppo a lungo in uno stato di squilibrio ed è incapace di soddisfare i propri bisogni si ammala e muore. Vediamo un esempio di processo omeostatico. Il corpo funziona efficacemente soltanto quando il livello di zucchero del sangue viene mantenuto entro certi limiti. Se lo zucchero scende oltre questi limiti le ghiandole surrenali secernono adrenalina, la quale trasforma le riserve di glicogeno del fegato in zucchero. Noi ignoriamo tale processo. Ma quando manca lo zucchero nel sangue sentiamo fame e mangiamo. L’omeostasi è il processo di autoregolazione mediante il quale l’organismo interagisce con il suo ambiente. Se un uomo perde un occhio, il suo organismo si riorganizza calcolando i suoi nuovi bisogni e trovando i mezzi per soddisfarli.
Oltre ai bisogni fisiologici ci sono poi i bisogni psicologici di contatto; questi ultimi si fanno sentire ogni qual volta viene disturbato l’equilibrio psicologico. Il processo omeostatico psicologico contiene elementi di quello fisiologico e viceversa. L’individuo soddisfa un bisogno per volta a partire da quelli fondamentali di sopravvivenza. Il bisogno prioritario è proprio quello che determina ciò che nella percezione diventa dominante, la figura che emerge in primo piano dallo sfondo.
L’Orientamento Olistico
L’uomo è un organismo unificato. Contrariamente a quanto creduto nella psicoterapia tradizionale il livello del pensiero e quello dell’azione agiscono insieme. Questo è evidente nella psicosomatica, dove molti disturbi fisici sono collegati a situazioni psichiche.
Attraverso il pensiero noi creiamo simboli e astrazioni e, in questo modo, compiamo simbolicamente quello che potremmo fare fisicamente. La mente ha diverse funzioni, come il pensiero (immaginare, ideare, ecc.); l’attenzione (concentrare le attività mentali e sensorie su un problema); la consapevolezza (percezione diffusa e rilassata); la volontà (focalizzare l’azione verso una mete specifica). Ognuna di queste attività è visibile nel corpo.
Il pensiero include diverse attività, come il sognare, l’immaginare, il teorizzare, l’anticipare. Queste sono attività della fantasia tramite cui l’uomo può anticipare nella mente ciò che accadrà nella realtà. Pensiamo ai problemi nella fantasia per poterli risolvere nella realtà. L’attività mentale sembra agire come risparmiatrice di tempo. Ad esempio, quando facciamo la spesa, decidiamo prima di cosa abbiamo bisogno, così risparmiamo tempo ed energia.
L’energia che l’uomo risparmia nel pensare alle cose, invece di agirle in ogni situazione, può essere investita nell’arricchimento della sua vita. Inoltre, i simboli e le astrazioni si ereditano di generazione in generazione, diventando un patrimonio di conoscenza e comprensione. Da tutto questo deduciamo che pensieri e azioni sono dunque fatti della stessa materia.
Nella terapia possiamo considerare l’individuo come un campo unificato mente-corpo. Ciò che il paziente fa fornisce indizi su ciò che pensa e ciò che pensa fornisce indizi su ciò che fa, e che vorrebbe fare. Tra i livelli di pensiero e di azione c’è uno stato intermedio – quello della finzione. Nella terapia, facendo esperienza di tutti i tre livelli, è possibile raggiungere la comprensione di se stessi senza andare a scavare nel passato.
Confine del contatto
Nessun individuo è autosufficiente, ognuno esiste come parte di un campo che comprende sia lui che l’ambiente. La psicologia studia gli eventi psicologici nel confine di contatto tra individuo e ambiente (pensieri, emozioni, comportamento, azioni). Le psicologie antiche hanno studiato la realtà dell’uomo astraendolo dal suo ambiente, separando il dentro dal fuori. Nell’esperienza, tuttavia, non esiste questa separazione, il soggetto e l’oggetto sono interdipendenti.
I bisogni provengono tanto dall’individuo quanto dall’ambiente. Se l’individuo è incapace di intuire i suoi bisogni dominanti o di manipolare il suo ambiente in modo da conseguirli, si comporterà in maniera disorganizzata e inefficace. Il nevrotico ha perso la capacità di organizzare il suo comportamento in conformità a una gerarchia necessaria di bisogni. Egli deve imparare a distinguere la molteplicità di bisogni per poi occuparsi di uno per volta.
Nel campo di esperienza individuo-ambiente vi è una figura che viene in primo piano. Gli oggetti che rappresentano tale figura sono quelli desiderabili e, in quanto tali, assumono una carica energetica positiva. Gli oggetti indesiderabili, quelli che minacciano l’individuo o tentano di sconvolgere il suo equilibrio assumono una carica negativa.
L’uomo è sospeso tra impazienza e timore. L’impazienza sta a indicare l’esigienza del bisogno ad essere soddisfatto. Il timore sta a indicare un pericolo, un appoggio ridotto alla vita. Vogliamo eliminare gli oggetti che ostacolano la nostra possibilità di recuperare l’equilibrio. Vogliamo distruggere il nemico (dentro o fuori di noi), renderlo innocuo.
L’annientamento magico o scotoma consiste nel ritirarsi dal contatto per non vedere ciò che non si vuole vedere, allo scopo di escludere quanto considerato pericoloso. Il ritiro può essere un mezzo per far fronte al pericolo. Il contatto e il ritiro di per se non sono ne buoni nè cattivi, ma lo possono diventare, dipende dalla situazione. Una delle caratteristiche del nevrotico consiste nell’incapacità di organizzare il proprio contatto o il proprio ritiro. Quando dovrebbe contattare il suo ambiente la sua mente vaga altrove e quando dovrebbe ritirarsi non ci riesce. Tutte le faccende incompiute della sua vita hanno danneggiato il suo senso di orientamento, così non è più capace di distinguere gli oggetti o le persone dell’ambiente che hanno una carica positiva da quelli che hanno una carica negativa.
La nascita della nevrosi
L’individuo deve poter cambiare costantemente per manipolare l’ambiente e soddisfare i propri bisogni. La nevrosi insorge quando ci fissiamo in un comportamento ripetitivo. La colpa di questa fissazione non è né dell’individuo né dell’ambiente, nessuno dei due è responsabile dei mali dell’altro. Ambedue sono malati. Se la società è nevrotica gli individui sono nevrotici e viceversa. L’uomo sano riconosce il confine tra sé e la società, si sa integrare, non si fa inghiottire e nemmeno si ritira del tutto.
In una società sana il confine tra l’individuo e il gruppo è chiaramente delimitato e percepito, non c’è sottomissione, l’omeostasi funziona bene. Il nevrotico tende a vedere la società come qualcosa di universale, di più grande della vita stessa e vede se stesso come più piccolo. Il criminale si arroga i diritti dello stato e calpesta gli altri. Contrariamente al nevrotico tende a vedersi come più grande e la società come più piccola.
Lo squilibrio nel campo organismo-ambiente insorge quando l’individuo e il gruppo (famiglia, colleghi di lavoro, ecc.) simultaneamente sperimentano bisogni divergenti e l’individuo è incapace di distinguere quale bisogno è dominante e di conseguenza a operare un buon contatto e un buon ritiro.
I meccanismi nevrotici o interruzioni di contatto sono: introiezione, proiezione, confluenza e retroflessione.
Introiezione – Consiste nell’incorporare norme, atteggiamenti, modi di agire e di pensare non veramente nostri. Nell’introiezione noi inghiottiamo per intero contenuti sociali senza masticarli, digerirli e assimilarli: essi rimangono dentro di noi come corpi estranei.
Il cibo psicologico presentato dal mondo esterno deve essere destrutturato, spezzettato, analizzato e poi rimesso insieme nella forma di maggior valore per noi. Nell’introiezione il confine tra il mondo e l’individuo è troppo vicino a quest’ultimo, per cui l’individuo perde il suo sé. L’introiezione si manifesta nell’uso del pronome “io” quando il significato reale è “loro”.
Proiezione – E’ il meccanismo attraverso cui l’individuo tende a rendere l’ambiente responsabile di tutto ciò che si origina nel sé. Nella proiezione noi rinneghiamo gli aspetti della nostra personalità che troviamo sgradevoli e li trasferiamo all’ambiente in modo da non doverli affrontare. Il proiettore dice “loro” o “esso” per non dire io, e lo fa anche con se stesso, su parti del proprio corpo o della propria psiche.
Il paranoico, ad esempio, è una persona aggressiva che, incapace di accettare i propri desideri, li attribuisce all’ambiente. Altri esempi possono essere quelli di una donna sessualmente inibita convinta che tutti la vogliano abbordare; o di un uomo freddo e distaccato che si lamenta perché la gente non è amichevole con lui. Nella proiezione, la persona vuole sbarazzarsi di quelle parti di sé che considera introietti senza considerare che invece sono parti vere di sé, mentre quelle che vuole salvare sono introietti. Nella proiezione il confine con il mondo è troppo allargato, per cui l’individuo perde il senso dell’altro.
Confluenza – Nella confluenza l’individuo non avverte nessun confine tra sé e l’ambiente, sente che lui e l’ambiente sono un’unica cosa, non sa più dove finisce se stesso e dove cominciano gli altri. I neonati vivono in confluenza. Nei momenti di estasi o di forte concentrazione noi entriamo in confluenza. Nel rito l’individuo sperimenta la sua identificazione con il gruppo.
Nello stato di confluenza patologico, la persona non riesce più a contattare se stessa o gli altri, né a ritirarsi. L’uomo che vive in uno stato di confluenza patologica lega i suoi bisogni, le sue emozioni e le sue attività in un unico fascio di confusione totale, al punto che non è più consapevole di cosa desidera fare né di come si impedisce di farlo. L’incapacità di distinguerci nasconde la presenza di una parte di noi che non vogliamo sentire o che abbiamo imparato a nascondere. Nella confluenza noi diciamo “noi” senza capire bene se ci riferiamo a noi stessi o al gruppo.
Retroflessione – Significa “rivolgere indietro, contro”. Quando una persona retroflette il suo comportamento, tratta se stessa come originariamente voleva trattare altre persone o altri oggetti. Smette di dirigere le sue energie all’esterno, nei tentativi di manipolare e determinare cambiamenti nell’ambiente che soddisferanno i suoi bisogni, per dirigerle all’interno, sostituendo, come bersaglio del comportamento, se stessa all’ambiente. La retroflessione si manifesta nell’uso del pronome riflessivo “me stesso”.
Nevrosi come stato di squilibrio
Il paziente viene in seduta poiché sente di trovarsi in una crisi esistenziale: sente cioè che i bisogni psicologici con i quali s’identifica non vengono soddisfatti. Il paziente pensa che con l’aiuto del terapeuta sarà in grado di soddisfare quei bisogni che né lui né il suo ambiente sono ormai capaci di soddisfare adeguatamente. Il terapeuta non interpreta e non giudica i bisogni esistenziali del paziente. Il compito del terapeuta non è quello di uniformare il paziente a un solo tipo di bisogni, ma quello di favorire lo sviluppo cosicché ciascun paziente sarà in grado di scoprire le mete personalmente più significative. Il terapeuta aiuta il paziente a raggiungere l’auto-sostegno che gli serve per soddisfare i propri bisogni.
L’Omeostasi del paziente non funziona adeguatamente, altrimenti non verrebbe in terapia. Tuttavia, non è così immediato per lui percepire il proprio squilibrio e orientarsi verso una correzione. La sua nevrosi funziona ancora troppo bene. Il paziente viene in terapia portandosi con sé i suoi mezzi manipolativi, ovvero i mezzi attraverso cui egli riesce a mobilitare e strumentalizzare l’ambiente a suo beneficio e ad ottenere quello che non riesce a darsi da sé. Il nevrotico non è uno sciocco, dev’essere piuttosto furbo per sopravvivere, dal momento che gli manca una delle qualità essenziali che favoriscono la sopravvivenza: l’auto-sostegno. Tuttavia, la manipolazione del nevrotico tende a conservare il suo handicap. Quando il paziente diventa consapevole delle sue tecniche manipolative e del loro effetto negativo su di sé sarà in grado di cambiare.
Il terapeuta deve stare attento a non disprezzare le resistenze del paziente e a non incolparlo di queste. Egli deve cercare di lavorare mantenendo un equilibrio tra frustrazione e soddisfazione, ovvero tra il frustrare le manipolazioni del paziente e il dargli ciò che desidera. La resistenza è una volontà negativa che se è ostacolata si rivolge contro chi la ostacola. Dobbiamo stare attenti a non fomentare la sensazione di minaccia del nevrotico, il quale già vede l’ambiente minaccioso.
La nevrosi è uno stato di squilibrio dell’individuo che insorge quando egli e il gruppo di cui è membro sperimentano simultaneamente bisogni divergenti e l’individuo non riesce a distinguere quelli dominanti. Per affrontare la nevrosi non è utile lavorare con le spiegazioni. I “perché” non risolvono i problemi, individuano solo dei colpevoli, che non ci servono per cambiare. Anzi, le spiegazioni ci autorizzano a rimanere dove siamo e a proiettare le nostre difficoltà su altri o su altro.
Se il paziente impara il “come” dei suoi comportamenti e delle sue strategie per interrompere il contatto, se sperimenta se stesso mentre si interrompe, allora può progredire verso il suo sé reale e verso le attività che desidera compiere. Una terapia riuscita lascerà il paziente autosufficiente, reattivo e consapevole.
Nella Gestalt non si parla tanto di inconscio, quanto di inconsapevolezza del momento. Questo termine si riferisce a un’inconsapevolezza che comprende oltre al materiale rimosso, quello che non è mai giunto alla coscienza. Comprende abilità, modelli comportamentali, abitudini motorie e verbali, punti ciechi, ecc. I termini “inconscio” e “conscio”, invece, si riferiscono al materiale mentale e non alle funzioni dell’organismo e agli atteggiamenti. Noi non partiamo dalla inconsapevolezza, ma dalla consapevolezza, cercando di estenderla il più possibile a tutti i livelli. La psicanalisi procede portando l’individuo a conoscenza di ciò che produce un sintomo a livello inconscio. Questa operazione rimane su un livello mentale molto forte. Noi, invece, non interpretiamo la motivazione inconscia, ma cerchiamo di responsabilizzare il paziente su ciò che attraverso quel sintomo evita abilmente di sentire e agire.
L’emicrania, ad esempio, è un sintomo che ci può dire qualcosa di noi. Una certa situazione è difficile da reggere. Ma, piuttosto che dire di no a quella situazione, operiamo il rifiuto “facendoci venire l’emicrania”. Il superamento del bisogno di supporto ambientale e quindi la capacità di stare in contatto con sé e con gli altri e di auto-sostegno, può venire solo dall’uso creativo delle energie investite nei blocchi. Invece di permettere ai pazienti di vedere se stessi trasferirsi passivamente dal passato al presente, come vuole la psicanalisi, dobbiamo introdurre in essi il concetto di responsabilità, che dice: “in che modo mi impedisco?; “che cosa mi impedisco?”. Se il terapeuta dà al paziente l’appoggio ambientale, non fa altro che assecondare la sua nevrosi. Se invece rende possibile l’assimilazione del blocco e la differenziazione da esso, favorisce lo sviluppo del paziente.
Lo stesso vale per il lavoro sui sogni. La psicanalisi giunge al significato dei sogni attraverso l’interpretazione di libere associazioni. Noi lavoriamo sul sogno portando il paziente a riviverlo e a immedesimarsi nelle sue parti. In questo modo il paziente può integrare il sogno con sensazioni, emozioni e gesti; diventa più chiaro di cosa il sogno sta parlando, il suo vissuto e la relazione tra il sogno e la sua situazione interiore presente.
La Terapia Qui e Ora
La psicanalisi considera la persona nevrotica come una persona che ha avuto un problema nel passato. Dal punto di vista gestaltico il nevrotico ha avuto sì un problema nel passato, ma soprattutto ha un problema qui-e-ora, nel presente. Benché si comporti in un determinato modo oggi a “causa” degli eventi passati, le sue difficoltà presenti sono connesse al modo con cui agisce oggi. La terapia consiste nel dare alla persona gli strumenti per affrontare i problemi del presente in modo tale da imparare a gestire anche quelli futuri. Questo strumento è l’auto-sostegno. Se la persona può diventare cosciente di se stessa e delle sue azioni in ogni momento e a ogni livello (della fantasia, verbale e fisico), essa comprenderà come produce le proprie difficoltà e potrà aiutarsi a risolverle nel presente. Ogni soluzione conquistata nel presente accresce l’auto-sostegno, dunque la capacità di affrontare le difficoltà future.
Il passato che la gestalt considera valido per lavorarci sopra è quel passato che ha una forte influenza sul presente, che è ancora in qualche modo presente e si lavora psico-drammaticamente come fosse un evento del qui e ora. Parlare di un’esperienza passata significa lasciarla incompiuta, isolata come un sedimento privo di vita.
Il nevrotico fa fatica a sperimentare se steso nel qui ed ora, preferisce parlare del passato come se fosse solo passato. E’ più facile associare che concentrarsi sperimentando se stesso. Nella Gestalt rendiamo il paziente consapevole delle sue interruzioni, di cosa fa quando interrompe e di cosa interrompe. Un’emicrania può essere un modo per interrompere un pianto. Diventando consapevole di ciò che interrompe il paziente può ultimare le sue esperienze incompiute.
I meccanismi di introiezione, proiezione e retroflessione si sviluppano come risposta a interruzioni ricevute dal mondo esterno. I genitori che hanno bisogno di sicurezza interrompono i figli nel loro piacere di sperimentare se stessi. Avendo perso gran parte dell’intuito e dell’istinto animale, abbiamo sostituito gran parte della nostra capacità di auto-sostegno derivante dall’istinto con nozioni provenienti dalle buone maniere e dai codici comportamentali (etica), dai mezzi di orientamento (lettura), dalle norme di bellezza (estetica) e dalle posizioni sociali (atteggiamenti).
Le interruzioni di contatto derivanti dall’educazione, tipo “non fare questo” e “non toccare quello”, ronzano nelle orecchie del bambino giorno dopo giorno. Anche i ritiri vengono interrotti “adesso stai qui, non andare a giocare”. Il bambino deve imparare a far fronte alle interruzioni educative, necessarie o meno che esse siano. I guai seri iniziano quando i genitori interferiscono nella maturazione del bambino iper-proteggendolo, interrompendo i suoi tentativi di orientarsi e distruggendo la sua fiducia in se stesso.
Pelare La Cipolla
La consapevolezza produce di per sé risultati molto validi. Il terapeuta può porre essenzialmente cinque domande: Cosa fa? Cosa sente? Cosa vuole? Cosa evita? Cosa si aspetta? Pian piano il terapeuta, agendo come uno specchio amplificatore, porta il paziente ad essere consapevole anche di quello che comunica non verbalmente. Le sue domande portano il paziente a vedere il suo comportamento e a individuare cosa rappresenta.
Il terapeuta astuto può trovare molto materiale proprio sotto il naso, ma per farlo deve liberarsi dai pregiudizi. Il materiale è nella superficie, anche se i terapeuti ortodossi non la pensano così, poiché la ritengono troppo ovvia. Il terapeuta gestaltico osserva, domanda e porta consapevolezza al paziente di ciò che sembra ovvio, ma non lo è. Le domande non devono iniziare con dei perché ma con dei come. Le domande che iniziano con un perché non danno luogo ad altro che a risposte belle e pronte, a difese, a razionalizzazioni, a pretesti e al delirio che un evento sia spiegabile con una sola causa. Chiarita la struttura del comportamento, tutti i perché vengono a galla.
Il nevrotico è una persona che ha rinunciato a scegliere e ad essere responsabile. La responsabilità del terapeuta è sfidare ogni affermazione o comportamento del paziente non rappresentativo del sé. Ciò significa che deve trattare ogni meccanismo nevrotico man mano che si manifesta. Ogni meccanismo va integrato dal paziente e trasformato in un’espressione del sé, in modo da permettere al paziente di scoprirsi, di scoprire il proprio sé.
Lavorare con la confluenza – E’ necessario aiutare il paziente a distinguere se stesso dall’ ambiente. La confluenza con l’ambiente nasce dalla confluenza con degli introietti per cui è necessario portare il paziente a concentrarsi sui suoi bisogni e sulle sue emozioni distinguendole dalle voci interne che gli vietano di sentirsi e di distinguersi come un “io”, e non come un “noi”.
Lavorare con la retroflessione – Per lavorare sul meccanismo della retroflessione bisogna portare il paziente alla consapevolezza delle sue azioni retroflesse (uso del pronome “me stesso”) fino a quando non inizierà a volere le proprie emozione all’esterno (madre, padre, capo, terapeuta…)
Lavorare con la proiezione – Se il paziente parla in termini di “esso” o “essa”, tipo “essa mi infastidisce” riferito all’emicrania, dobbiamo costringerlo ad associarsi alla cosa verso cui usa quel pronome per portarlo alla responsabilità della proiezione. Invertiamo le espressioni tipo “loro non mi trovano simpatico” in “io non li trovo simpatici”; “essa m’infastidisce” in “io la infastidisco”.
Lavorare con l’introiezione – Rendiamo il paziente consapevole del proprio atteggiamento verso il materiale introiettato. La consapevolezza dell’introiezione porta alla nausea, al disgusto, al rigetto di ciò che la persona ha inghiottito per intero. Il terapeuta può lavorare con gli eventi presenti, con ogni situazione man mano che si presenta. Possiamo aprire una porta alla volta. Ad ogni stadio, giacché l’auto-sostegno del paziente aumenta in ogni seduta, il passo successivo diventa più facile.
Psicodramma e confusione
Nella Gestalt si lavora con la consapevolezza e lo psicodramma. Per giungere alla realtà, al paziente viene chiesto di mettere in scena le sue fantasie; egli è il creatore assoluto dello scenario, degli attori, degli arredi, della regia e dell’espressione. Ciò gli dà l’opportunità di vedere i conflitti al suo interno e di evitare di adeguarsi a ciò che vogliono altri partecipanti.
Un’altra tecnica usata nella Gestalt è la tecnica della spola. I freudiani la usano quando chiedono al paziente di spostare l’attenzione dal contenuto manifesto dei sogni alle associazioni. Nella Gestalt usiamo diversi modi di fare la spola: per esempio portare l’attenzione a diverse parti del corpo, quelle che ci infastidiscono o che sentiamo di meno, oppure oscillare con l’attenzione tra il vissuto di un ricordo e il qui ed ora.
L’immagine di un ricordo è qualcosa di passato, il senso cinestetico muscolare interno è nel presente. Se facciamo la spola tra visualizzazione e propriocezione potremo riempire i vuoti della memoria, riappropriarci di ciò che abbiamo rimosso e ultimare le situazioni incompiute del passato. Teniamo conto anche di tutti i movimenti involontari del corpo. Se il paziente stringe i pugni senza accorgersene, è probabile che sia in collera. Allora, se egli fa la spola tra l’emozione presente nel corpo e il ricordo inizia ad accorgersi di ciò che è realmente accaduto. La spola può essere fatta dal comportamento manipolativo (il lamento) al modo inadeguato di esprimersi (esprimere la rabbia con una voce gentile). A chi parla sempre e non ascolta mai si può chiedere di fare la spola tra il parlare e l’ascoltare se stessi.
Nello psicodramma si chiede al paziente di spostarsi da un ruolo a un altro: dal bambino tormentato, ad esempio, alla madre brontolona che parla dentro di lui. L’importanza terapeutica della tecnica consiste nello sciogliere la lite tra vittima e carnefice attraverso l’integrazione, per cui le due parti si rendono conto l’una dell’altra e iniziano a rispondersi in modo adeguato.
Buona parte della lotta contro la nevrosi è vinta se si aiuta il paziente a diventare consapevole della sua confusione, a tollerarla e a rimanere con essa. La maggior parte delle persone cerca di risolvere le confusioni interrompendole con speculazioni, interpretazioni e razionalizzazioni. Solo l’indifferenza nei confronti della comprensione può garantirci la libertà dalla confusione. Per lavorare sulla confusione possiamo chiedere al paziente di visualizzare qualcosa e guardare dietro l’oggetto visualizzato. In genere troverà ciò che nascondeva a se stesso.
Lo stadio finale del trattamento è un’esperienza strana, una specie di trance, la chiamiamo “ritiro nel vuoto fertile”. L’individuo capace di sperimentare fino in fondo il vuoto della propria confusione vivrà un insight, un lampo di percezione e intuizione. Il vuoto fertile aumenta l’auto-sostegno chiarendo allo sperimentatore che gli è accessibile assai più di quanto credeva.
Terapeuta o Counsellor
Quando entra nello studio, il paziente si porta tutte le situazioni incompiute del passato. L’impulso di sopravvivenza dominante del momento determina l’evento che porterà in primo piano. Il terapeuta si chiede quale bisogno predomina nel paziente e cosa appare dai suoi atteggiamenti. Bisogno di sicurezza, di approvazione, di calore, di distinzione… In questo modo l’attenzione viene immediatamente posta su ciò che il paziente non si accorge di fare o di volere. Per guarire dalla nevrosi è importante che il paziente si accorga di ciò che sente e di ciò che sta accadendo dentro e fuori di lui. In sostanza deve smettere di allucinare, di trasferire, di proiettare, di retro-flettere e di interrompersi.
Ma come può il terapeuta aiutare se egli stesso vive di astrazioni e interruzioni? Come può non interpretare il paziente, leggerlo sotto la luce delle sue gestalt incompiute? Se il terapeuta potesse liberarsi da se stesso, non sarebbe più una persona, ma un computer. Il terapeuta reale, invece, si espone con la propria personalità e i propri pregiudizi. Tuttavia, egli può imparare a sospendere i propri giudizi in modo tale da non creare ipotesi irreali e astratte.
Nella Gestalt la forma e il significato di un oggetto cambiano a seconda della persona che ne fa esperienza e di ciò che in quel momento la persona vive. Non si possono assolutizzare i significati. Attenzione dunque a non sostituirsi ai pazienti. Più il terapeuta è capace di stare in piedi sulle sue gambe senza aspettarsi qualcosa dal paziente più aiuterà l’altro a stare in se stesso, a ritrovare il proprio auto-sostegno.
Ci sono tre strade che il terapeuta deve fare attenzione a percorrere: 1) la simpatia (coinvolgimento); 2) l’empatia (identificazione); 3) l’apatia (disinteresse). Se il terapeuta è in simpatia col paziente, tenderà a dargli tutto l’appoggio ambientale diventando cieco alle sue manipolazioni; se trattiene se stesso per empatia, priva il campo del suo strumento principale: l’intuito e la sensibilità. Con l’apatia egli non sarà minimamente in contatto con il paziente.
In sintesi, il terapeuta non deve né immedesimarsi col paziente, altrimenti non gli è di nessun aiuto, né frustrarlo eccessivamente, altrimenti rinforza le sue difese. Deve imparare a lavorare contemporaneamente con empatia e frustrazione. Deve essere crudele per poter essere gentile.
Nel nostro linguaggio e nella nostra educazione troviamo svariati imperativi: i famosi “tu devi”. L’imperativo, per la sua stessa natura, è lo strumento più potente per plasmare l’individuo nella forma richiesta dalla società: dai tabù primitivi ai dieci comandamenti, dai permessi e divieti della mamma. Non c’è nulla di male nell’imperativo di per sé. La nevrosi insorge se sono presenti, simultaneamente, imperativi sociali e personali che non possono coincidere. Il problema del nevrotico incomincia di solito perché egli accetta nell’infanzia un imperativo che è contro la sua inclinazione naturale. Ogni qual volta integra le parti dissociate di un evento e riesce a dichiarare un imperativo molto sentito, chiarisce un’area di confusione; è qualcosa che avrebbe voluto dire da anni, ma la sua struttura introiettiva l’ha sempre costretto a interrompere l’autoespressione.
Il terapeuta deve frustrare quelle espressioni del paziente che riflettono il suo concetto del sé e le sue tecniche manipolative; deve invece soddisfare quelle espressioni che rispecchiano il vero sé. Man mano che aumenta la sua esperienza del sé, il paziente diventa più autosufficiente e capace di instaurare buoni contatti con gli altri. L’auto-sostegno è molto diverso dall’indipendenza. Alla conclusione della terapia il paziente non perderà il suo bisogno degli altri. Al contrario, per la prima volta, trarrà soddisfazioni reali dai contatti con le altre persone.
Testimone oculare della terapia – La gestalt in azione
Nei decenni passati l’uomo viveva per ciò che era considerato giusto e faceva il proprio lavoro a prescindere dal desiderio e dall’idoneità personali. Ora, il puritanesimo si è evoluto in edonismo. Viviamo per il piacere, il divertimento, la sfrenatezza. Sembra meglio del moralismo, tuttavia siamo divenuti fobici verso il dolore e la sofferenza. Evitiamo tutto ciò che non è divertente o piacevole. Così, fuggiamo da ogni frustrazione e non cresciamo più.
La terapia della Gestalt lavora con la frustrazione come mezzo per portare il paziente a concludere delle “gestalt.” Le situazioni non ultimate continuano ad emergere sotto forma di interruzioni di contatto e di atteggiamenti manipolativi finché non le risolviamo. Non è necessario scavare nell’inconscio, dobbiamo solo diventare consapevoli dell’ovvio, di ciò che è evidente. Il nevrotico è un individuo che non vede l’ovvio. Nella Gestalt cerchiamo di comprendere il presente, la consapevolezza e di vedere cosa accade nel qui ed ora.
La Gestalt si occupa del “come” dei nostri atteggiamenti e non dei perché. In passato cercavamo le cause, le ragioni e razionalizzavamo, credevamo che cambiando le cause potessimo cambiare l’effetto. Noi possiamo cambiare la struttura del nostro carattere e del nostro copione di vita solo comprendendola, riconoscendola nel qui ed ora. Quale che sia il nostro copione, possiamo prendere consapevolezza del modo con cui ci interrompiamo, del modo con cui non percepiamo il confine io/altro e lasciare che l’organismo si autoregoli di conseguenza.
Continuum di consapevolezza
“Raccontami precisamente cosa provi ora. Entraci dentro. Cosa fai a te stesso? Perché lo fai? Scrivi il tuo copione tra vittima e persecutore”. “Comincia con la frase “ora sono consapevole di…”, stai nel qui e ora e descrivi ciò che senti senza saltare verso il futuro”. Tramite il continuo di consapevolezza le persone scoprono i modi con cui evitano il pieno coinvolgimento con ciò che hanno di fronte. Il passo successivo consiste nel vedere con che cosa le persone sono in contatto. Ci sono tre possibilità: noi stessi; il mondo; la nostra vita di fantasia. La vita di fantasia è la nostra parte alienata. Essa si trova a un livello intermedio tra noi e il mondo. In questo livello ci sono i nostri sogni, le nostre fantasie catastrofiche e i nostri complessi deformanti.
Esercizi
Fare la spola
- Sposta l’attenzione da quello che senti all’ambiente. Questo ci aiuta a riappropriarci delle nostre fantasie sul mondo e il confine.
- State l’uno di fronte all’altro e nell’oscillare continuamente l’attenzione dall’io al tu. Andiamo dentro di noi e poi fuori di noi e comunichiamo con il partner. Le due formule da usare sono le seguenti: “riguardo a me stesso sono consapevole di…” e “riguardo a te sono consapevole di.”
- Fai oscillare l’attenzione tra il presente e il ricordo. Per lavorare su un ricordo, non dobbiamo cercare di rievocarlo mentalmente, ma dobbiamo tornare a essere noi nel passato di quella situazione, essere di nuovo quel bambino di tot anni e dire cosa stiamo vedendo, cosa sta succedendo, come se quello che vediamo nell’immaginazione stesse accadendo ora, senza preoccuparci se stiamo realmente ricordando o viaggiando di fantasia. Poi, dobbiamo tornare nel presente, ed esprimere ciò che stiamo sentendo. Cosa sente il bambino? Cosa senti tu ora?
Lavori per coppie
- “Io sono io. Tu sei tu. Non vivo in questo mondo per soddisfare le tue aspettative. E tu non vivi in questo mondo per soddisfare le mie. Io è io. E tu è tu”.
- L’esercizio consiste nel dire all’altra persona le nostre reazioni e pensieri presenti qui e ora. Nei nostri pensieri facciamo di solito le prove e poi sottoponiamo tutto al censore, lasciamo passare solo quelle frasi necessarie per manipolare l’altra persona. Dite cosa sperimentate in questo momento senza fare prove. Le persone apprezzano l’onesta molto più di quello che crediamo. Vi sono tre modalità di parlare manipolando: a) il parlare con approssimazione senza toccare il nocciolo della faccenda; b) il dovere o il moralismo, quando si dice “dovresti” o “mi aspetto che tu”; c) parlare attraverso gli “ismi”, come “esistenzialismo”, senza stare nello stato delle cose.
- Ora chiamate l’altro con il suo nome. L’altro annuisce solo se si sente rievocare in qualche modo, come se dicesse “cara” o “bastardo”, ecc.
- Ora facciamo il gioco del risentimento. Dite: “mi risento con te per questo e quest’altro”.
- Ora facciamo la stessa cosa con l’apprezzamento.
- Ritorniamo al risentimento. Rifate lo stesso esercizio aggiungendo un “devi”. Dietro a ogni risentimento c’è una richiesta: “dovresti fare questo”.
- Ora fate una richiesta e rispondete alla richiesta dell’altro con un dispetto selvaggio.
- Ora facciamo il gioco dell’accondiscendenza, in cui uno fa la richiesta e l’altro esagera con l’accondiscendenza.
Lavoro sui sogni
Lavoriamo sui sogni portandoli nel presente. Possiamo interpretare qualsiasi elemento del sogno. Tutti gli elementi o personaggi presenti rappresentano le nostre parti alienate. Lavoro sul sogno con l’obbiettivo di integrare i conflitti e re-identificarsi con le parti alienate.
- Racconta il sogno.
- Racconta di nuovo il sogno rianimandolo nel tempo presente, come se stesse accadendo ora.
- Assume il ruolo di direttore di scena e crea l’atmosfera, ottiene dal sogno uno spettacolo vivo.
- Ora che sei diventato autore e direttore di scena diventa anche l’attore e lo scenario.
Proiettare significa rinnegare una parte di se stessi che compare nel mondo esterno. La riappropriazione di molte di queste parti è sgradevole, non ci piace riconoscerle. Tuttavia in queste proiezioni o parti alienate c’è un’energia preziosa nascosta. Non è necessario lavorare con l’intero sogno. Anche se vi re-identificate solo con alcuni elementi, ogni volta che ne assimilerete uno crescete, incrementate il vostro potenziale e cominciate a cambiare. Il significato del sogno è un messaggio esistenziale. Non è semplicemente una situazione incompiuta o un problema corrente. E’ un messaggio che concerne la vostra esistenza totale, il vostro copione di vita.