Il Lavoro dell’Attore su Se Stesso

Elaborazione del testo di S. Stanislavskij

L’attore deve saper dominare e sollecitare la propria natura nascosta per poter agire sull’esterno.

La Maschera

L’autore respinge l’imitazione: crede che il personaggio debba essere dotato di una vita interiore ed esterna e che debba attingere al suo vero io (desideri, impulsi, emozioni, immaginazioni) poiché da tali interazioni nascerà il personaggio, la creatura vivente.

Quanto alla vita del personaggio Stanislavskij è categorico! Si tratta di riempire i vuoti lasciati dal testo dell’autore, dotarlo di una vita interna, di pensieri, idee, di un passato e futuro in modo tale da renderlo compatto.

Insegna a non essere succube del pubblico ci dice che il compito dell’attore è arrivare al pubblico non direttamente ma attraverso una sorta di mediazione del personaggio. Sottolinea il pubblico è dotato di una propria fantasia integratrice, una capacità Gestaltica di ricostruire la parte dal tutto, da un’immagine da un segno da un sintomo, motivo per cui “l’io credo” del pubblico diventa il test fondamentale del lavoro dell’attore. Immedesimandosi nei panni dello spettatore alla ventesima replica di un’opera, Stanislavskij disse: solo seduto accanto al mio vicino di poltrona mi rendo conto che come regista che IO NON TI CREDO… Un’altra delle frasi che esclama spesso è: “dal vero arriverete all’autentico. Dal falso non arriverete a nulla.

Attuare i Sentimenti

Cosa vuol dire recitare nel modo giusto? Vuol dire: pensare, volere, desiderare, agire esistere sul palcoscenico all’unisono con il personaggio. Rivivere una parte aiuta l’attore a dotarsi di una coscienza di una vita spirituale in ogni parte e a comunicare esteriormente “in forma artistica” quello che ha vissuto, rivivendo realmente sentimenti analoghi ad essa. Solo un’arte piena di esperienze dirette e vitali dell’attore può trasmettere tutta la profondità della vita interiore di un personaggio. Uno degli errori della maggior parte degli attori di mestiere è essere rappresentativi, servendosi di cliché che riempie tutti i vuoti della parte non colmati dal sentimento vivo. Ci mette in guardia da essi dicendo che si appiccicano addosso impadronendosi di tutte le capacità espressive dell’attore. Vivendo la parte solo all’inizio durante il lavoro preliminare, per dare poi una visione convenzionale, cioè non penetrano profondamente. Diventando una maschera del vero sentimento. Espressione bellissima “Assumere l’Anima” rende giustizia a ciò che il narratore anela.

Tutto ciò che accade sul palco deve avere uno scopo. In scena si deve sempre agire interiormente. La questione non sta nella finalità esterna, ma negli stimoli interiori, nelle ragioni, nelle circostanze in funzione alle quali gli attori eseguono l’azione. Quando si agisce meccanicamente senza uno scopo, non si ha nulla su cui fermare l’attenzione. Fondamentale per l’attore è dunque partire dal “se” che è la leva che lo trasporta in un altro mondo, il solo nel quale possa avvenire la creazione.

Egli distingue due espedienti: “i se semplici e i se composti” anche se in verità l’uno non esclude l’altro. La forza stimolante del se semplice sta nel fatto che non si riferisce ad un fatto reale, a quello che è, ma a un’ipotesi… quindi non afferma nulla, semplicemente suppone una questione da risolvere per l’attore. Il se composto invece s’intreccia con tutt’una serie di supposizioni e finzioni complementari dell’autore e del regista: “circostanze date” per cui filtriamo tutto il materiale ricevuto, lo rielaboriamo dandogli vita, completandolo con la nostra immaginazione.

Con l’aiuto dell’immaginazione è possibile ricreare il mondo materiale, ed è indispensabile per l’attore, non solo per creare, ma anche per rinnovare ciò che è già stato creato e poterlo rianimare con nuove ipotesi e particolari. In questo lavoro la logica è la coerenza sono di estrema importanza, aiutano ad avvicinare l’impossibile al verosimile. Una volta protagonisti di questa vita immaginaria, non vedremo più noi stessi, ma tutto ciò che ci circonda, perché saremo parte reale di quella vita. Tutto quello che inventa l’immaginazione deve essere giustificato e fissato punto per punto “chi, quando, dove, perché, a che scopo, come?” Le domande che ci facciamo per risvegliare l’immaginazione ci aiutano ad avere un quadro sempre più preciso della vita falsa ed immaginaria che cerchiamo, oltre che a provocare un’azione reale corporea.

Il vero artista è attratto dalla vita, che diventa oggetto del suo studio e della sua passione. L’attore deve essere attento non solo sulla scena, ma anche nella vita normale, deve sviluppare la capacità di concentrarsi su tutto ciò che lo attrae; non in maniera fredda e distaccata, ma penetrare fino in fondo ciò che osserva. Partiamo dalla “scena” dove dovrebbe concentrarsi la maggiore attenzione, l’attore deve avere sempre un oggetto su cui concentrare la propria attenzione. Se fissa la sua attenzione su un oggetto, viene naturale il bisogno di farci qualcosa con esso, così l’azione che rimane latente per un certo verso, rinforza ancor più l’attenzione sull’oggetto diventandone un tutt’uno. Ma nella vita immaginaria, la difficoltà sta nel fatto che gli oggetti spesso siano instabili o inafferrabili. Non basta un’occhiata per vedere tutte le parti che compongono: Anima, intelligenza, sentimento e perfino l’attenzione e l’immaginazione. Prima creiamo delle raffigurazioni visive, mediante le quali diamo spazio alla sensibilità interna, per poi fissare l’attenzione sulle sensazioni; “una lotta continua tra l’attenzione utile e quella dannosa” che ci trascina addirittura fuori dal teatro. In altre parole, in teatro non si può lavorare “a freddo” c’è bisogno di calore e di una “attenzione sensibile”.

Finche c’è sforzo fisico non si può parlare di vere sensazioni, né di rivivere normalmente la vita spirituale, motivo per cui prima di cominciare a creare bisogna imparare a rilassare e tendere i muscoli necessari,  imparare ad osservare le nostre tensioni per assumere un certo autocontrollo attraverso esercizi continui sull’attenzione. Occorre integrare quest’aspetto finché non diventa naturale.

In alcuni casi il regista e l’attore devono aggiungere alla commedia delle “sezioni” loro, ma solo nel caso in cui è strettamente necessario, ovvero quando l’autore vi ha lasciato sezioni vacanti. La sezione può essere composta da infiniti segmenti, necessari solo durante il lavoro preliminare. In seguito, il lavoro da fare è concentrarsi sulle sezioni grandi, quanto più grande è la sezione tanto più facile diventa avere un quadro completo della commedia o della parte. I compiti invece sono come dei segnali che indicano la direzione, impedendo di perdersi. Per questo è importante che l’attore impari a discernere la qualità dei vari compiti, che ne sia attratto, che abbia voglia di realizzarli, sapendo evitare quelli inutili ed individuare e rafforzare quelli necessari.

Verità Scenica

Il vero scenico” è necessario all’attore nel momento della creazione. Ogni istante passato in scena deve essere giustificato dalla convinzione che i sentimenti che si provano e le azioni che si rappresentano “possono essere vere”.  Il vero e il falso a teatro devono essere affrontati per quello che valgono. Sentito e creduto il vero dentro e fuori di noi, anche l’impulso interiore all’azione verranno da sé. “Io sono” vuol dire, io esisto, vivo, sento, penso esattamente come il protagonista; è la verità scenica, in sintesi, quasi assoluta. Allo spettatore in un certo senso piace essere ingannato, gli piace credere vero ciò che succede in scena, dimenticare che è solo una finzione teatrale; sostanzialmente ha bisogno di credere e sentire vero quello che si fa in scena.  Più della meschina verità mi è prezioso l’inganno che mi sublima

La memoria emotiva ha la capacità di far tornare in vita sentimenti già vissuti. “Il subcosciente attraverso il cosciente” ci dice della memoria essere un grande archivio dove l’abilità, l’arte e la tecnica dell’attore si educano a comprendere qual è la via più naturale per riportare in vita i sentimenti che daranno vita all’animo del personaggio. Il sentimento non si produce da sé, ma seguendo la logica di tutto ciò che lo precede. Anche gli stimoli esterni come luci, suoni, tutto ciò che serve a creare l’atmosfera scenica contribuiscono alla rievocazione. ”Richiami” sono tutti gli elementi che stimolano la memoria emotiva (il sé magico, circostanze, date, sezioni, compiti, gli oggetti dell’attenzione, il senso del vero).L’attore imparerà a rispondere e a dominarli nella sua creazione del personaggio.

Comunicazione e Influenzamento

Ci sono vari tipi di comunicazione, importante è stabilire prima un contatto con se stessi “auto contatto”; elemento indispensabile al processo di generazione e trasmissione della vita spirituale di un personaggio. Per poter stabilire un contatto bisogna aver qualcosa da comunicare, come sentimenti e pensieri che fanno parte della nostra esperienza reale innanzitutto! Il contatto più diretto e immediato, quello da cuore a cuore, da sguardo a sguardo, ci dice che anche i corpi comunicano senza alcuna azione fisica o visibile. Come se i nostri sentimenti e desideri emanassero dei raggi che trapelano attraverso gli occhi e il corpo, investendo gli altri.

Chiameremo adattamento tutti gli sforzi, interiori ed esteriori con cui “in comunicazione” coi compagni cerchiamo di adattarci l’uno all’altro e di influenzarci. Noi comunichiamo mediante i cinque sensi, attraverso vie di comunicazione visibili e invisibili: con gli occhi, la mimica, la voce, attraverso i movimenti delle mani, del corpo, come se emanassimo e percepissimo radiazioni invisibili. L’adattamento è un procedimento indispensabile in qualsiasi relazione, anche nella relazione con se stessi. Quanto più complessi sono i sentimenti e i compiti da comunicare, tanto più le funzioni “dell’adattamento” saranno svariate e sottili.

La Creazione Artistica

I principali motori della vita psichica sono: “intelletto, volontà e sentimento”. Per l’arte è fondamentale sia la creazione emotiva, sia quella volitiva o intellettuale; al contrario la recitazione fredda e mentale, nata dal calcolo dell’attore viene respinta nettamente.

Qualsiasi arte ha bisogno, prima di tutto, di una linea ininterrotta. Quando la linea della vita psichica si compone, diventando ininterrotta si può parlare davvero di creazione. Ci spiega che non abbiamo bisogno di una sola linea conduttrice ma di molte: quella dell’immaginazione, quella dell’attenzione, quella degli oggetti, quella della logica e della coerenza, dei compiti, delle ambizioni, delle azioni, del senso del vero, della memoria emotiva, del contatto e dell’adattamento. In scena questo flusso deve essere continuo “non può essere interrotto” altrimenti la vita del personaggio viene paralizzata, spezzata e muore. “Intelligenza, volontà e sentimento, mobilitano tutte le energie creative interiori”. Questo connubio di elementi dell’attore-personaggio crea quello stato d’animo importante per l’attore chiamato: “Auto sensibilità scenica interiore”. Se si crea una sensibilità esatta, inevitabilmente si elimina quella sbagliata e viceversa. La giusta sensibilità scenica oscilla sempre, gli elementi dell’auto sensibilità devono essere regolati continuamente, fino ad imparare a farlo automaticamente. “IN QUESTO EQUILIBRIO TRA VITA E FINZIONE STA L’ARTE DELL’ATTORE”.

Tutto quello che si fa in uno spettacolo è legato e dipende dal problema principale, che deve essere cosciente, e che parte dall’intelligenza; in altre parole, farlo diventare nostro, cioè scoprirvi quel segreto contenuto che è più affine alla nostra anima. Questa dinamica, la comune aspirazione interiore dei motori psichici e degli elementi del personaggio-attore che attraversa tutta la commedia viene chiamata: “Linea d’azione principale”. Ogni manifestazione esterna della vita interiore, ogni adattamento, cela l’invisibile suggerimento del subconscio. Il problema fondamentale della psicotecnica: portare l’attore ad una condizione creativa che consenta il prodursi del processo creativo subcosciente. A questo ci si arriva individuando quali sono i problemi principali, attraverso cui agiamo indirettamente sulla nostra natura organica e spirituale. La nascita di una creatura scenica è un atto naturale della natura organica creativa dell’attore.

Creare il Personaggio

La personificazione è l’espressione della vita interiore della parte; “rendere visibile l’invisibile vita creativa dell’attore”. Occorre coltivare la voce e il corpo dell’attore secondo i principi della natura stessa; correggere e sviluppare quelle parti che la natura ha lasciate incomplete e conservare inalterate quelle che sono già proporzionate. Ogni artista deve sviluppare prima interiormente il movimento e l’azione. “Solo la sensazione interiore del movimento ci permette di comprenderla e sentirla”. L’arte si crea solo nel momento in cui coesistono le linee ininterrotte del suono, della voce, dell’azione e del movimento.

Quando l’attore è in scena deve disporre di tutti gli strumenti creativi, e la voce è uno dei più importanti. Prima di tutto bisogna controllare con cura l’apparato respiratorio e vocale; sentire che il suono obbedisce in ogni dettaglio, ogni passaggio, ogni sfumatura. Un’artista deve possedere una pronuncia e una dizione “perfetta”. Ogni suono che costituisce una parola ha un’anima, una natura che l’attore deve necessariamente sentire; se non sente l’anima del suono, non sentirà neanche quella della parola, della frase e del pensiero. Lo scopo è: come parlare in scena e quali sono i metodi per una buona declamazione.

Prima di cominciare ad imparare a parlare in scena bisogna individuare e correggere “i difetti” di cui nella vita normale neanche ci si accorge. In scena le parole devono eccitare, nell’attore e nel suo compagno, e di riflesso nello spettatore, ogni possibile sensibilità, volontà, riflessione, in altre parole deve poter eccitare tutti i sensi. La parola è l’espressione più completa del pensiero umano! “Per l’attore la parola non è soltanto un insieme di suoni, ma è quella che provoca l’immagine” dunque parlare vuol dire descrivere le nostre immagini visive. Parlare significa agire e l’azione è imposta dalla necessità di trasporre nello spettatore quello che vediamo noi. La preoccupazione principale per un attore consiste nel riuscire a riflettere, con l’occhio interiore, immagini affini a quelle del personaggio.

Non esiste recitazione, azione, movimento, pensiero, discorso, parola, sentimento senza una prospettiva corrispondente. La prospettiva dell’attore-uomo e del personaggio-attore è indispensabile per poter avere, in qualunque momento in scena, la coscienza di quello che succede, per distribuire con equilibrio ed approfittare del materiale creativo accumulato. Solo quando l’attore avrà riflettuto, analizzato e vissuto tutto il personaggio nel suo complesso, gli si aprirà davanti una vasta prospettiva che potrà esprimere con chiarezza e lungimiranza.

Il tempo-ritmo cela in sé non solo le qualità esteriori che risvegliano la nostra natura, ma anche il contenuto interiore che alimenta il sentimento. Viene conservato nella memoria emotiva ed elaborato a scopo creativo. Non solo può suggerire intuitivamente e con immediatezza un sentimento adeguato, ma anche aiutare a creare un personaggio. Tra il tempo-ritmo e il sentimento e viceversa c’è un legame indissolubile, una interdipendenza. Agisce in maniera meccanica, intuitiva o consapevole, sulla nostra vita interiore e sui sentimenti e sulla reviviscenza della parte. In poche parole, quando l’attore sente spontaneamente quello che comunica, immediatamente si sente portato all’espressione ritmica, in gesti e parole, della sua reviviscenza.

Le azioni sceniche sono diverse da quella della vita normale, in scena noi fingiamo quindi è difficile comportarsi come nella vita. La logica e la coerenza di una azione e di un sentimento sono due elementi importanti del processo creativo. Per riconoscere e definire la logica e la coerenza di uno stato d’animo che appartenga alla vita spirituale dell’uomo, non ricorriamo a sentimenti labili ed instabili, ma al nostro corpo con tutte le azioni fisiche concrete e decifrabili. In realtà baserà chiedersi: “cosa farei io se mi trovassi al posto del protagonista?”

I segni caratteristici spiegano, illustrano e rendono palese al pubblico l’invisibile disegno interiore e spirituale di un personaggio. Ciascun attore può trovarli dove vuole, in se stesso, negli altri, nella vita normale o in quella immaginaria, l’importante e non perdere il proprio se interiore. I segni caratteristici in scena sono come una maschera che nasconde l’uomo-attore, il quale riesce a denudare se stesso “nei più intimi dettagli dell’anima”. Non esistono personaggi senza segni caratteristici ed è importante per l’attore individuarli poiché in scena deve creare un personaggio e non mostrare semplicemente se stesso al pubblico.

Bisogna eliminare dalla parte tutti i gesti superflui e allora quelli importanti si evidenzieranno, acquistando forza ed espressione. In scena un gesto fine a se stesso, non solo non serve ma può essere rischioso per la precisa definizione di un personaggio o di un’azione che esige un senso di verità. Gli eccessi e le esagerazioni risultano false, oltre ad uccidere la verità e il sentimento. Nell’arte è necessario ci sia “un tocco finale” senza il quale i personaggi non prendono vita, quanto più controllato è il processo creativo, quanto più l’attore è sicuro di sé, tanto più preciso e definitivo risulterà il disegno del suo personaggio.

“Il teatro non è soltanto una fabbrica di scenografie, è anche una fabbrica di anime umane” Questa realtà in cui tutti creano, aiutandosi l’uno con l’altro, sottolinea l’importanza di collaborare gli uni con gli altri, stabilire una buona atmosfera di lavoro, riconoscendo l’autorità e la responsabilità in ogni determinato settore. L’attore deve interessarsi non solo alla sua parte ma a tutta l’opera, per la natura stessa dell’arte di cui è a servizio.