Due correnti di pensiero caratterizzano l’umanità da secoli e indicano due modi diversi di concepire il mondo: da una parte il razionalismo e dall’altra l’empirismo. Il razionalismo ha per oggetto il pensiero, si basa su teorie dimostrabili e si esprime attraverso formule; il pensiero pensa all’oggetto. L’empirismo si muove lungo l’esperienza: il sentire, non poggia su basi oggettive e si esprime attraverso il linguaggio metaforico; l’esperienza percepisce fenomeno. Il sentire è qualcosa che appartiene anche agli animali mentre il pensare è un’attività molto più evoluta e apre a possibilità straordinarie; ma per quanto profondamente si pensi… se non si sente, la vita non è soddisfacente. Vivere senza sentire è solo l’ombra della vita.
Da ciò deriva che per fare gestalt in primo luogo si lavora su se stessi e si deve imparare a “conoscere sentendo” e quindi a riconoscere il proprio sentire; il che obbliga il terapeuta a fare i conti con la propria realtà esistenziale anche mentre è in seduta con i pazienti, conservando la neutralità attraverso la “sospensione del giudizio”. Sentire e pensare sono coinquilini inseparabili del corpo e, presi in considerazione assieme come avviene in terapia, creano una visione più ampia delle cose. Se io guardo un quadro, vedo l’oggetto quadro formato da una cornice, da una tela, da oggetti quantificabili, ma se io faccio esperienza di quel quadro e riesco a percepirlo come un insieme che mi emoziona o mi disgusta, percepisco il fenomeno che si basa sulla qualità, è diventa difficile esprimerla. Non ci si può esprimere dicendo “io sento che” perché equivale a “io penso”, ma semmai “io sento come se”.
La molteplicità, anche se porta inevitabilmente con sé complessità, conflitto e dolore, è una condizione indispensabile per la creazione di senso. Il conflitto non è da considerare un ostacolo ma l’ingrediente necessario perché si realizzi quel processo complesso chiamato creatività. In Gestalt la dimensione del cambiamento avviene nel “vuoto fertile” un luogo dell’anima dove le parti conflittuali interiorizzate tacciono e nella tensione emotiva la persona ricontatta i propri desideri e le proprie intenzioni. Nonostante l’auto-critica interna che non ammette errori e si pone come freno al cambiamento, il desiderio di crescita e di conoscenza aiutano le persone a trasformarsi nell’unico modo possibile: per prove ed errori, fra tentativi e dubbi. E’ cavalcando il senso che si arriva al compimento dell’opera, alla soddisfazione. In gestalt le domande con cui i terapeuti assillano i loro pazienti sono “cosa senti” e “cosa vuoi”? Con queste domande si pone il paziente nelle condizioni di desiderare qualcosa e gli si dà responsabilità.
Socrate chiamava maieutica l’arte di fare domande che incrinino le apparenze. Così l’approccio gestaltico è “maieutico” cioè è un invito a riflettere. Il terapeuta aiuta la persona a costruire la sua narrazione, cioè a trasformare i singoli eventi in un racconto che formi un insieme di senso. Il terapeuta “aiuta il paziente ad aiutarsi” per passare da una situazione compensativa a una trasformativa, dove avviene il contatto con le emozioni, anche le più dolorose perché, una volta accettate, danno energia per operare trasformazioni.
L’insoddisfazione è il punto di partenza del volere qualcosa. Nella relazione terapeutica le persone sono aiutate a “essere” ad abitare la loro casa di cui spesso, occupano solo una piccola parte perché attuano delle difese. Abitare la propria casa implica scelte difficili, ma sono le scelte che costruiscono la nostra vita in modo che possa acquisire valore. In Gestalt la difesa, qualsiasi essa sia, è considerata una mancanza di contatto, il crollo del ponte tra ciò pensiamo e ciò che sentiamo. Quando il contatto s’interrompe, occorre lavorare per tornare a percepire i desideri e ritrovare il senso e il valore della vita.
Che cos’è il valore? Come possiamo sapere quando una scelta è di valore? Nella cultura classica una scelta di valore doveva fare riferimento a tre principi: bello, buono e logico. Il buono ha a che vedere con l’etica, con qualcosa di duraturo ma cangiante e sempre in evoluzione.
Avere una capacità etica aiuta le persone a fare scelte secondo una visione d’insieme, quindi in modo assolutamente più sensato, secondo il proprio giudizio di valore e la propria responsabilità. Spesso le persone non hanno fatto sufficienti esperienze e non hanno avuto occasione di imparare comportamenti originali e adeguati alle diverse circostanze. Siccome il gusto etico come quello estetico non si basa su criteri oggettivi ma esperienziali, occorre avere una gamma di esperienze da poter paragonare fra loro. Inoltre, l’esperienza insegna che persone con gusti etici diversi riescono a trovare un buon livello di comunicazione mentre non si sviluppa alcun contatto fra chi non ha nessuna consapevolezza etica, ma segue una morale e delle regole di un tipo o di un altro.
La differenza essenziale fra morale ed etica è che la morale fa riferimento a regole rigide, astratte, oggettive che dirigono l’azione dell’uomo a prescindere dalla situazione: l’etica si riferisce alle diverse situazioni, non indica alle persone cosa fare, ma dà una direzione, una logica, un criterio saggio che sottende la condotta delle persone. Avere una visione etica e ampia è una questione intuitiva che ha caratteristiche paradossali: è assolutamente rigorosa e allo stesso tempo non rigida. L’etica si poggia sulla scelta individuale, sul saper gestire le proprie risorse e assumersi dei rischi: infatti nella mentalità comune chi rischia di andare in galera per salvare la vita a qualcun altro è un eroe non un delinquente. Il tema dell’etica è centrale nel Counselling come nella psicoterapia perché si offre alle persone la possibilità di sviluppare un gusto etico e diventare capace di mettersi in relazione con gli altri.
Nel setting della Gestalt oltre ad esserci la sedia del terapeuta e quella del paziente, ce n’è sempre una terza vuota che ospita via via gli interlocutori immaginari che interagiscono col paziente. La sedia vuota aiuta a mettere in scena i vari personaggi dell’anima e a rendere visibili le parti negate, l’ombra direbbe Jung. Con il dialogo si manifestano parti di noi che difficilmente avrebbero diritto di parola in altro modo; sono desideri forti che mirano a ottenere soddisfazione. Quando le parti emergono e diventano chiare, si dialoga contrattando, pensando e sentendo i vantaggi e gli svantaggi che una scelta può comportare. IO e TU sono due parti di me distanti fra loro, non amalgamate. Il riconoscimento delle polarità è fondamentale: se non c’è polarità, se non si arriva ad avvertire la tensione fra le due parti, che significa potersi immergere sia nell’una sia nell’altra parte per capirne la logica e le ragioni, non succede niente e tutto rimane immobile. La sedia vuota apre un dialogo che spinge verso l’azione: mette in scena, come a teatro, un’esperienza creativa che induce al cambiamento.
La fenomenologia è il regno del probabile che, con l’aiuto dell’immaginazione fa sì che l’azione possa attuarsi. Se io sono in pericolo, solo se immagino come fare, posso agire. L’esperienza dell’immaginazione nella sedia vuota pur non essendo realtà…. è realtà perché sta accadendo veramente. Ogni volta che immaginiamo, stiamo vivendo un’occasione e una possibilità, che da valore alle nostre storie.
La relazione d’aiuto non risolve i problemi delle persone ma le spinge a entrare nelle loro storie per ricomporne il senso. La forza per prendere decisioni importanti poggia sul terreno solido della verità narrativa che avendo un senso compiuto permette alle persone di appoggiarvisi e fare delle scelte. Il tempo cui si fa riferimento è il presente, il qui e ora, che è il luogo delle decisioni. Articolare, percepire, pensare, sentire, scegliere è il progetto della Gestalt al quale tutte queste parti devono collaborare incessantemente.
Le emozioni sono uno strumento necessario per capire che cosa vogliamo fare a patto che siano vissute fino in fondo. Imparare a esprimere le emozioni significa anche imparare a usarle. Il linguaggio per esprimerle è quello metaforico, che a differenza del discorso logico fa uso del “come se”; qui psicoterapia e arte si connettono, muovendosi entrambe verso l’unione di pensare, sentire e creare. Si tratta di vedere quello che c’è fuori e sentire che effetto fa, che sapore ha; nella percezione il mondo esterno s’intreccia con quello interno.
L’artista realizza l’opera e le nuove forme trasmettono l’esperienza della qualità, cioè del senso del bello, del buono e del logico. Nella relazione d’aiuto si cerca di aiutare la persona a migliorare la qualità della vita, e per far questo occorre avere una chiara percezione della qualità. Tale percezione si migliora diventando permeabili e attenti al mondo, sensibili per comprendere il senso profondo delle cose e le creazioni dotate di valore. Nella domanda “cosa senti” vi è anche l’intento di aiutare a entrare in contatto con la duplicità della propria percezione.
La vita può essere paragonata a una tela bianca ed è la persona che decide quali colori e quali forme che non sono mai definitive, perché gli errori sono imprescindibili dal raggiungimento di un capolavoro. Per dipingere non basta conoscere la teoria dei colori, dietro a un quadro c’è fatica, lacrime e sangue, ma il risultato lo si avverte.
Il sentire è un po’ come una bussola che aiuta a orientarsi nella vita, ci fa captare ciò che è buono, per vivere il presente ognuno secondo il proprio stile. Se si è disposti ad assumersi la responsabilità delle proprie scelte e ad attuarle questo accresce la forza e il potere personale. Arrivare a una capacità di scelta che sia più forte del bisogno d’approvazione esprime una capacità di autosostegno e di volontà che crea contatto tra ciò che siamo e ciò che vogliamo nel mondo.
L’intenzionalità è il presupposto della psicologia moderna umanistica. Un preconcetto che indebolisce l’insegnamento è l’idea che si possa apprendere a prescindere dall’avere motivazioni per farlo. E’ importante per l’apprendimento che le persone prendano contatto con il fatto di non sapere e con la motivazione che li spinge; inoltre fondamentale è che l’apprendimento avvenga in un ambiente amorevole.
Spiritualità e Gestalt
L’improvvisa visione di un insieme è chiamata insight: capita che si guardi a lungo e con pazienza o magari a volte distrattamente e poi improvvisamente si rimane folgorati da una visione; è come se a un certo punto si aprissero gli occhi e si ricevesse qualcosa. Questa è la descrizione del contatto con l’ispirazione: è come se in un qualsiasi momento, improvvisamente giungesse una scintilla e si rivelasse qualcosa di livello più alto. Buber diceva che Dio si trova nell’incontro con l’altro: quando IO e TU entrano in contatto si produce una grandissima energia, un’esplosione capace di fondere la barriera che separa le persone dalle altre e dal mondo. Il miglioramento della qualità della vita delle persone non consiste solo nella recessione dei sintomi ma nell’incremento della vita spirituale fra sé e sé, fra sé e gli altri, fra sé e il mondo.
Tutte le tradizioni spirituali hanno affermato l’importanza di una guida nel cammino, di un maestro e di una scuola. La guida ha a che fare con l’iniziazione con ciò che è esperienziale: come per diventare un buon falegname la pratica di laboratorio non è sostituibile dai libri, così in psicoterapia e nel counselling non si impara studiando teoricamente sui libri, ma occorre una guida per essere iniziati ai processi di trasformazione. La funzione della guida appare ancora più chiara nella metafora dell’alchimia: per compiere il processo “solve et coagula” vi è bisogno di un contenitore, senza il quale quello che si scioglie cade e si disperde. Una pentola ha una qualità che potrebbe sembrare irrilevante mentre è fondamentale: essa non si scioglie assieme al suo contenuto e, pur essendo estranea al processo, è indispensabile affinché il processo avvenga. E poiché nel contatto con se stessi e nel processo di trasformazione l’io si dissolve, se non ci fosse un contenitore in cui ri-coagularsi sarebbe più facile perdersi; questo contenitore è la guida!
In psicoterapia il terapeuta permette alla persona di esperimentare dissolvimenti profondi senza il rischio di perdersi, vivendo il mistero dell’evoluzione psichica che è un passaggio continuo dalla chiarezza alla confusione, per arrivare a una nuova chiarezza. Quando tutto si confonde nella testa, ci si sente diversi, anche se siamo sempre la stessa persona: è un fenomeno che chiunque abbia vissuto un processo di sviluppo psichico profondo, conosce benissimo; essere gli stessi di prima eppure molto differenti. Il mistero della trasformazione è un’esperienza e come tale può essere conosciuta solo se “vissuta”.
La difficoltà che s’incontra è la tendenza a vedere il problema invece che la persona e qui l’esperienza finisce. Guardare la persona richiede uno sforzo notevole e implica l’essere in relazione, accorgersi dell’effetto che fa ciò che si percepisce, non lasciarsi sviare dalla mente che vorrebbe fermarsi su ogni oggetto interessante: parole e sintomi.
Lo Spirito va coltivato; bisogna rendersi conto di come si amministra la propria vita, verificare se ne siamo soddisfatti e assumersene la responsabilità: se la nostra vita spirituale fosse un giardino bisognerebbe annaffiarlo, potarlo, concimarlo, imparare tante cose pratiche e darsi da fare per ottenere cose buone. Le cose buone non sono come gioielli preziosi che stanno dentro uno scrigno ma attività che finiscono nel momento in cui uno smette di farle. Questa visione ridefinisce la vita come un continuo operare; un fare che abbia un senso e un valore. Non ci sono tempi morti: in ogni momento ognuno sta coltivando il proprio giardino; un lavoro non facile, esposto a tutte le intemperie prevedibili e imprevedibili del mondo.
La via dello spirito è un cammino difficile, in cui si cede facilmente alla tentazione dell’illusione come quella l’orgoglio, credere di essere speciali, di essere arrivati in alto…. Questa è una delle tentazioni più classiche sia nella tradizione cristiana, dove Lucifero che era l’angelo della luce si è piaciuto tanto da cadere in fondo al baratro, sia nella cultura letteraria con il mito di Narciso. Stando nella metafora del giardino la via dello spirito sarebbe dedicare i propri sforzi non per fare concorsi di roseti ma per creare un luogo dove vivere la propria vita: se il giardino sarà brutto la persona vivrà in un posto brutto; se sarà stupendo passerà la vita in un posto stupendo.
Freud teorizzò l’esistenza di un’energia alla base della vita psichica e la chiamò Libido: se questa energia l’uomo la dirige verso il mondo esterno, è un investimento energetico vitale: l’Eros; mentre se la dirige su se stesso, sull’importanza personale, produce patologia o Narcisismo. Prestigio e potere hanno più a che fare con il narcisismo che con il vivere bene. Se una persona non investe eroticamente nel mondo, la vita diventa piatta e insapore e allora comincia a investire la propria energia in senso narcisistico: una guerra, la scalata al potere, il successo sociale che pur non presentando granché di erotico sono avvincenti perché creano tensione.
La tensione si può rappresentare come una differenza di potenziale: in genere le tensioni sono considerate sgradevoli e le persone di tutto per liberarsene ma così facendo si liberano anche dell’Eros e la vita e i rapporti diventano piatti e monotoni. La tensione è energia, qualcosa di difficilmente misurabile ma che indica uno stato di cui tutti fanno esperienza: quella di avere molta o poca energia. Senza tensione è difficile tenere vivo il rapporto con un’altra persona e il rapporto è vivo se ci s’interessa a quello che l’altro fa o dice. Quando si è innamorati di qualcuno quello che l’altro dice incanta: si ascoltano con aria rapita parole che sarebbero considerate banali in altre situazioni. E’ un miracolo riuscire a essere così interessati e questo miracolo è appunto l’Eros.
Freud pur essendo un materialista convinto riconosceva l’esistenza dello spirito nell’arte, nella scienza e in vari altri fenomeni diversi dal modo materiale. Vedeva il risveglio di ognuno alla creatività come un segno di guarigione. In questa direzione vanno gli approcci terapeutici a orientamento umanista, per i quali è fondamentale aiutare le persone a fare una vita spirituale nel senso di fare della propria vita un luogo interessante. Anche la Gestalt fa parte di questo filone umanista – fenomenologico – esistenziale dove l’esperienza è centrale e la meta non è diventare sani ma trovare il modo di fare della propria vita qualcosa di interessante: l’attenzione è spostata verso la qualità dell’esperienza, il suo valore che è una categoria spirituale, non materiale.
La differenza profonda fra l’ottica Freudiana interpretativa e l’ottica della Gestalt è che l’approccio freudiano si fonda sull’idea che ciò che noi viviamo cela realtà più profonde e interpretare quelle realtà cambia il nostro rapporto col mondo, lo rende più vivo, più umano, più stimolante. Nella Gestalt invece l’ottica è esperienziale e l’interpretazione non trova appigli: se sento dolore il problema è trovare il modo di gestire quel dolore più che riconoscere il perché lo sento. La realtà può rimanere parzialmente sconosciuta e misteriosa ma ciò da cui non posso prescindere è il governo della mia vita.
Non vi è nessun giudizio rispetto alle mete; esse non sono oggettivamente sane o patologiche, perché è considerato sano scegliere con responsabilità la propria direzione. Per far questo occorre sviluppare il sentire e sperimentare l’esperienza; torna così il tema dell’Eros che in sostanza è il piacere di sentire: la vita è tanto più piacevole, vera, soddisfacente, umana, quanto più c’è eros, mentre diventa grigia, asfaltata, insensata, insignificante quanto meno c’è Eros (in termini clinici depressione). Nell’esperienza, cioè nel sentire, risiede l’Eros che è il punto di passaggio tra la depressione e l’interesse alla vita, l’interesse per qualsiasi cosa, il ponte per qualsiasi meta; il mondo è inarrivabile senza Eros.
La sensorialità è legata all’energia: le funzioni psichiche sono percettibili sensorialmente come correnti energetiche che si espandono per il corpo e a volte si bloccano. La medicina orientale è costruita su sistemi di cura basati sulla rappresentazione nel corpo dei percorsi energetici come l’agopuntura e lo Shiatzu, che in modi diversi cercano di ristabilire l’equilibrio del corpo, facendo pressione nei punti importanti di queste mappe.
Lo Yoga che vuol dire unione precorre la psicosomatica poiché unisce il lato fisico e quello psichico; è un lavoro sul piano psichico che avviene attraverso il corpo. Infatti, se si vuole che lo yoga funzioni, bisogna ascoltare la propria esperienza corporea durante la pratica e sentire i flussi di energia che si diramano dai nuclei centrali i “Chakra” collegati alle varie funzioni psichiche. Secondo la tradizione tantrica i Chakra possono essere aperti o chiusi: se una persona ha un Chakra chiuso, la funzione relativa è inibita. Ad esempio una persona che ha il Chakra del cuore chiuso ha difficoltà ad amare; non significa che è una persona cattiva o che non vuole bene a nessuno, ma che non ha una esperienza sensoriale dell’amore.
La sensazione di amare è la cosa più piacevole al mondo ed è una grande fonte di allegria: senza questa sensazione, l’amore può diventare un sacrificio. Una persona che ha il Chakra del cuore aperto, anche se è in una situazione terribile, ascoltando le sensazioni dello scorrere di questa energia può avere fiducia che le cose cambieranno e che potrà sorridere di nuovo. Per questo motivo la cura dei propri Chakra è importante.
La via verso la spiritualità ha bisogno di un accompagnamento amoroso; è necessario farsi accompagnare da qualcuno che si ama e in psicoterapia il transfert rende possibile questo processo. Alla psicoterapia le persone arrivano quando si accorgono di avere automatismi comportamentali disfunzionali ai propri bisogni. Sono automatismi che si apprendono precocemente per sopravvivenza e poi funzionano da soli come il pilota automatico dell’aereo; quando s’innescano, non è facile disattivarli perché non si sa come hanno fatto a mettersi in moto. Il comportamento automatico è tenuto in piedi da vari stati emozionali tipo rabbia, paura, sospetto, dolore, che riguardano l’esperienza passata non quella attuale.
In terapia l’intervento consiste sostanzialmente nell’aprire nuove strade e, attraverso vari tentativi, portare la persona a cercare alternative interessanti: in questo percorso è coinvolto l’Eros cioè piacere dell’esperienza. La difficoltà è mantenere i limiti tra Eros e sesso; un po’ come avviene nei rapporti fra genitori e figli in cui c’è un coinvolgimento erotico, ma non sessuale. Occorre distinguere il piacere erotico dal piacere sessuale e spesso i genitori per paura di sconfinare, tengono i figli lontano con conseguenze disastrose.
Passato e Presente
Una corrente di pensiero molto diffusa sostiene che il passato determina i fenomeni del presente, per cui le cause del presente si cercano nel passato e si costruiscono rigide connessioni biunivoche di causa ed effetto, passato e presente. Il passato è visto come qualcosa di oggettivo a cui far riferimento per interpretare l’influenza che esercita sul presente. E’ semplicistico spiegare i fenomeni della mente e del comportamento in questo modo: il passato non può determinare meccanicamente il presente se non vogliamo vedere la vita come prodotto del fato.
Possiamo invece dire che il passato ha ripercussioni sul presente, ma è mediato dalle scelte della persona. I fatti accaduti nel passato non determinano il presente ma permettono alle nostre vite e alle nostre potenzialità di prendere forma: in altre parole non è importante quello che ci accade ma come reagiamo a ciò che accade. Se l’uomo ha la possibilità attraverso i suoi comportamenti di superare se stesso, allora non è il destino che lo determina ma la sua capacità di scegliere, di gestire il suo organismo psicofisico; in altre parole il “libero arbitrio”, un concetto appartenente alla tradizione filosofica e religiosa e alla cultura umanistica. Nell’approccio gestaltico non si può attribuire l’origine di un problema a un agente esterno e neppure fare delle connessioni biunivoche di causa-effetto attraverso deduzioni; il passato va considerato l’occasione che ha consentito al mondo interno di una persona di prendere forma.
Sul piano psichico la cosa importante è il senso e il valore che gli avvenimenti prendono nella vita di ognuno che dipendono dalle singole persone e dalle circostanze. Il passato determina il presente solo nel caso in cui la persona si lascia condurre dalle proprie coazioni, dai propri “vizi” e dall’edonismo in una vita senza speranza, troppo facile per potersene liberare in nome della libertà, che va invece perseguita attraverso strade difficili e dolorose.
Non essendo il passato un fattore oggettivo, la verità narrativa risulta essere più importante di quella storica ed è da come una persona ha vissuto che si può comprendere la sua realtà in divenire; importante è trovare i nessi, il senso, la congruenza per addentrarsi nelle storie di vita delle persone e capirci qualcosa.
La libertà è a portata di mano di ognuno ma va di pari passo con la responsabilità di scelta che è sempre a proprio rischio e pericolo, data l’impossibilità di conoscere il futuro, e quindi anche l’effetto delle proprie scelte. Ricalcare il passato, e non affacciarsi al nuovo, placa le ansie ma rende monotona l’esistenza. La storia è utile quando da essa si apprende per fare scelte di valore, non quando la si ripete pedissequamente.
Uno scoglio che si trova in psicoterapia è che la mente umana tende ad aggrapparsi al passato bello o brutto che sia e le situazioni traumatiche possono diventare scogli insuperabili. In Gestalt questi attaccamenti sono considerati delle gestalt incompiute che si ripetono in attesa di concludersi. Quando la situazione si considera conclusa? Quando non ci si aspetta più nulla né di buono né di cattivo; aggrapparsi coincide con una situazione di attesa, una mancanza, qualcosa di non ancora avvenuto. Giacché le situazioni inconcluse appartengono in genere a un passato perduto nel tempo, la conclusione può avvenire con la riutilizzazione dell’esperienza o tramite il teatro per cui si entra in contatto con le emozioni che sono state evitate e che definiscono in modo inequivocabile la situazione e si esprime ciò che non era mai stato espresso. Ovunque si arrivi: amore, odio, vita o morte del legame, l’importante è arrivare al distacco e all’indipendenza.
Gli esseri umani tendono da un lato a cambiare per realizzarsi e influenzare l’ambiente, dall’altro a mantenere le cose invariate per bisogno di conservazione. Perls, un ebreo berlinese profondamente toccato dagli orrori della guerra e del razzismo, indica come unica via di salvezza l’essere congrui a se stessi. Così nasce per Perls l’idea dell’autoregolazione organismica; da un punto di vista biologico il dolore è un campanello d’allarme che avverte l’organismo della necessità di intervenire sulla situazione in corso; il dolore e il piacere diventano gli indicatori delle direzioni da prendere per arrivare alla salute e al benessere.
Ogni essere umano sano per mantenersi in salute psichica e fisica deve seguire l’emergere spontaneo del bisogno. Se la funzione organismica è offuscata e le persone non sanno riconoscere i propri bisogni fondamentali o non sanno farvi fronte appare un malessere di base. Qui la creatività assume un ruolo basilare nell’invenzione di comportamenti congrui alle situazioni in corso. Scelta e creatività hanno possibilità di esistere solo nel “qui ed ora” cioè in un momento determinato nel tempo e nello spazio dove esistono specifiche situazioni e specifiche emozioni. Il “qui ed ora” assume una importanza fondamentale nella gestalt visto che non c’è possibilità di prendere decisioni fuori dal contesto specifico.
Manifestare il proprio mondo interno è sia il mezzo che lo scopo: l’espressione conduce alla pienezza della vita sensoriale e alla libertà della coscienza e allo stesso tempo modifica il mondo perché partecipa all’azione. La gestalt indirizza la ricerca su ciò che è funzionale più che su ciò che è vero o giusto, e per scoprire se una certa cosa è gradita o no, è più semplice basarsi sui parametri di piacere e dolore che non su quelli di “vero – falso” o “giusto – ingiusto”. In Gestalt poi sono assolutamente aperte le modalità di soddisfacimento, e di nuovo torna in ballo la creatività: se il modo in cui si raggiunge la soddisfazione non è un sentiero obbligato, si tratta di cambiare strada di fronte all’impossibilità e in un modo o nell’altro una persona può arrivare a soddisfarsi. E’ una de-mitizzazione della verità in nome di ciò che funziona e che piace in modo che le persone non si limitino a reagire alle pressioni dell’ambiente ma orientino le loro scelte in funzione dei bisogni etici, estetici e logici, utilizzando le capacità creative per risolvere i problemi che le varie istanze conflittuali pongono. Il determinismo cede le armi di fronte alla creatività che cambiando le premesse rende del tutto imprevedibili gli sviluppi futuri di qualsiasi situazione.
Abbiamo la possibilità in un modo o in un altro di indirizzare la nostra vita; appare evidente l’importanza della consapevolezza e della creatività come strumenti fondamentali dell’esistenza che permettono al terapeuta di porsi in termini possibilisti senza pregiudizi o previsioni negative, verso chiunque e in qualsiasi modo si presenti. Se di fronte alla vita l’uomo non è onnipotente, in realtà non è neanche impotente e anche se con sforzo, difficoltà e limitazioni egli può esercitare un’opera di trasformazione del mondo che rende la vita, un’avventura che non si ferma mai, e che in nessun modo può essere ritenuta banale.
Nella Gestalt anche il significato di “inconscio” muta il suo senso rispetto alla psicanalisi. Perls non ritiene possibile l’atto inconscio: “l’atto è in sé presenza e inevitabilmente coscienza”. L’atto ha una sua intenzionalità cosciente e non ci si accorge di quello che non si vuole percepire. Si può far divenire inconscio non guardando quello che, al vaglio delle difese interne, risulta pericoloso. Il conflitto non è fra conscio e inconscio, ma fra assumersi la responsabilità di affrontare ciò che si percepisce o non prendersela: la responsabilità diventa la chiave di volta. In gestalt l’attenzione va posta sul sentire prima che sul pensiero: dal sentire si parte per dare un senso alle situazioni e alle scelte e rivela anche l’intenzione della persona. Nella pratica non sempre l’espressione conduce al senso ma è ed efficace di per sé semplicemente perché è espressione.