I problemi affettivi-relazionali traggono origine dai rapporti affettivi vissuti nella prima fase dell’esistenza.
I problemi affettivi-relazionali di dipendenza che si manifesti in maniera esagerata, traggono origine dai rapporti affettivi vissuti nella prima fase dell’esistenza. Esperienze difficili e frustranti che si verificano precocemente, in una fase in cui il bambino è fragile e totalmente dipendente, strutturano internamente una modalità di risposta difensiva e rigida che dal periodo infantile si trascina e si rinforza nell’adolescenza fino all’età adulta.
Il bambino della nascita al terzo anno di vita e oltre passa dalla fase di totale simbiosi ad una progressiva distinzione dalla madre, arrivando a percepirsi individuo a sé nell’adolescenza, periodo in cui sperimenta con sempre maggiore intensità il desiderio, legato alle sopraggiunte capacità, talenti ed energie, di differenziarsi e essere autonomo.
L’esperienza di un positivo rapporto d’amore con i genitori nella primissima infanzia pone le basi per il successivo sviluppo psichico dell’uomo. Sono capaci di una buona separazione-individuazione i bambini che hanno vissuto relazioni tenere, consolatorie, protettive, empatiche, rispondenti ai bisogni. Anche le esperienze fatte in età più avanzata possono essere traumatiche e instaurare sofferenza psichica e fisica, ma spesso queste esperienze sono lo specchio delle passate relazioni primarie, determinanti anche per gli incontri e gli episodi futuri.
La psicologia del Sé sostiene che in ogni bambino vi è una struttura aperta alla relazione che viene influenzata positivamente o negativamente tramite 3 esperienze fondamentali nella relazione con la madre: riconoscimento, rispecchiamento, rassicurazione.
- Il riconoscimento è l’esperienza del sorriso, del luccichio negli occhi della madre che guarda il figlio con un sentimento d’amore indiscusso e crea quel senso di unione, vicinanza, felicità quasi magico, confermando al bambino di essere al sicuro e benvoluto;
- Il rispecchiamento è una speciale forma di condivisione: la madre riproduce i suoni del figlio, le sue espressioni, il suo stato d’animo, dirige lo sguardo dove lui guarda, ponendo le basi di un legame inteso, forte e solido e alla futura generosità e capacità di reciprocità;
- La rassicurazione fondamentale perché anche un neonato può avere profonde angosce e paure che solo una relazione empatica con il genitore può sciogliere e alleggerire.
Se queste esperienze si realizzano il senso d’identità del bambino cresce forte e coeso, egli sente di avere un valore, di essere importante: le basi della futura autostima sono posate.
Quando al contrario fra genitore e figlio non si stabilisce una relazione rassicurante (non necessariamente per colpa, ma per vissuti del genitore, sue incapacità e inesperienza), nel bambino si sviluppa un Sé frammentato che produce una sensazione di vuoto e fragilità; una vulnerabilità di base che si manifesta come una sensazione di mancanza da cui hanno origine i problemi di dipendenza da qualsiasi natura (alimentare, droghe, alcool, gioco, shopping, relazionale) che possano diminuire lo stato di agitazione e angoscia.
Le esperienze negative precoci dei primi anni di vita sono in genere dimenticate e rimosse, ma spuntano fuori più avanti nei momenti problematici della vita creando difficoltà intrapsichiche e relazionali. Quindi le dinamiche originarie creano le difficoltà dell’individuo adulto in relazione a se stesso e all’ambiente che per raggiungere benessere, fiducia negli altri, relazioni di reciprocità e appartenenza, accoglienza e alleanza deve recuperare consapevolmente i propri traumi.
Essere autentici e manifestare la propria verità non è facile: spesso si prova paura e vergogna a mostrarsi per cui si mettono in atto finzioni, s’interpretano ruoli e personaggi per ottenere l’approvazione degli altri, ma così facendo diventa impossibile la formazione di quel senso di appartenenza di cui abbiamo bisogno per vivere e soddisfare il bisogno di intimità.
La manipolazione della verità va a nostro sfavore perché accresce il tabù dell’intimità: questa è una delle ragione per cui senso di solitudine, di mancanza, d’angoscia e non senso, spesso imperano nelle nostre vite.
Il bisogno d’intimità insoddisfatto porta la persona alla spasmodica ricerca di qualsiasi oggetto o esperienza che allevi l’ansia, l’angoscia e colmi quel vuoto: alimentazione compulsiva sesso sfrenato, droghe, situazioni superficialmente appaganti… tutte forme di rassegnazione per compensare la mancanza di contatto, mentre il sentimento che cresce profondamente è la rinuncia a credere che ci sia qualcosa per cui valga la pena vivere, tentare, rischiare.
Anche la capacità di autostima stima e apprezzamento sono legati all’esperienza primaria: l’autostima si struttura internamente se c’è qualcuno che ci ha stimato e sorriso come avviene nelle conferme originarie con il genitore; da quelle esperienze s’interiorizza l’immagine di una persona che ci ha amato davvero, si interiorizza un genitore interno “buono” che ci rimanda tenerezza, compassione, simpatia, fondamentale per autosostenersi nella vita. L’autostima evolve e si ribalta nel mondo, nella capacità di esprimere stima, affetto e solidarietà agli altri e in concreto nella capacità di creare relazioni di reciprocità, intimità, di dare e ricevere apprezzamento, tutte esperienze che vanno a nutrire il “benessere” e la voglia di vivere.
L’apprezzamento ricevuto è anche la spinta che più ci motiva alla realizzazione: alla capacità di esprimere al meglio le nostre caratteristiche e peculiarità, all’essere utili a qualcuno e a qualcosa, in sintonia con noi stessi e con gli eventi che accadono, rendendoci individui capaci di autonomia e indipendenza.
Quindi l’uomo non è soltanto fame e sesso (come istinti primari) ma anche e soprattutto “relazione” o “contatto” come lo ha chiamato Perls e quando le frustrazioni colpiscono troppo in profondità producono ferite nell’autostima si formano i disturbi narcisistici di personalità.
Cos’è una ferita narcisistica? Quando per esempio da bambini si cerca il riconoscimento e la conferma della madre e invece si riceve una risposta del tipo “lasciami in pace, vattene…” si formano delle ferite nell’anima che portano allo sviluppo della “rabbia narcisistica”, un’emozione che nella vita adulta può divenire pericolosa. Queste ferite hanno due vie di reazione che sviluppano due risposte opposte, polari fra loro, ma non in contrapposizione:
- Il narcisismo grandioso quando la persona impara fin dall’infanzia che per recuperare autostima deve togliere importanza all’altro, svalutare il messaggio sprezzante che riceve con l’effetto di chiudersi in una forma di autonomia e indipendenza forzata che porta a un impoverimento della capacità di relazione.
- La posizione depressiva quando la persona fa propria l’immagine genitoriale e disconosce il proprio valore per cui, per vivere, sceglie di mettersi sotto la protezione di qualcuno: un’altra persona, un movimento religioso, una banda, un partito politico che anziché restituirgli l’autostima perduta, fa crescere in lui la sensazione di poter crollare in ogni momento, appena il suo idolo cambierà il suo atteggiamento.
“TI AMO SE…” è il messaggio d’amore dato al condizionale che ogni bambino più o meno esplicitamente ha ricevuto per cui, avendo bisogno di cure, attenzioni e nutrimento, ha cercato di soddisfare le aspettative genitoriali, rinunciando alla propria autenticità.
Le conseguenze di questo tipo d’amore sono tante: difficoltà a comprendere i propri desideri; la nascita di una struttura caratteriale difensiva e di un genitore interno rigido come lo erano i genitori o all’opposto troppo permissivo; l’incapacità ad autosostenersi e auto-rassicurarsi; atteggiamenti di dipendenza e contro dipendenza; la sensazione di “non essere meritevole”; l’idealizzazione degli altri e dell’amore; l’incapacità a essere autentici; la presenza costante di sensazioni di vuoto e mancanza; la perpetuazione inconsapevole delle caratteristiche genitoriali.
Dai nostri comportamenti affettivi in età adulta è possibile dedurre le esperienze avute nella nostra infanzia: i nostri comportamenti affettivi attuali sono la traccia di quanto abbiamo vissuto e quindi per comprendere i nostri bambini interni, lavorare sul qui e ora è più importante della ricostruzione di mille ricordi. Diventare consapevoli di ciò che ci ha creato dolore rende possibile riconoscere come e in quali occasioni il passato impera ancora nel presente: questa consapevolezza da un lato ci rende liberi e motivati a costruire il nostro mondo. Dall’altro implica l’accettazione del dolore.
Il meccanismo dell’identificazione, cioè l’assunzione delle caratteristiche genitoriali, indispensabile alla crescita, avviene attraverso due modalità fondamentali:
Per imitazione quando le caratteristiche diventano acriticamente le nostre. Assumiamo i loro valori, pensieri, modi di essere e li mettiamo in atto con noi stessi e gli altri.
Per ribellione quando il rancore e la ferita narcisistica porta al desiderio di essere totalmente diversi, che se da ragazzi può rivelarsi utile, nel lungo periodo si rivela un’arma a doppio taglio e anche purtroppo priva di consistenza; infatti quando non c’è più nessuno contro cui lottare, la sensazione di forza che davano i NO svanisce e non si sa più a cosa dire SI. Inoltre, rinnegando i tratti genitoriali assunti a cui ci siamo ribellati, instauriamo una lotta interna autodistruttiva.
L’identificazione si realizza attraverso il meccanismo dell’attaccamento che in se stesso che ha una grande funzione e ci accompagna per tutta la vita, permettendoci di creare i legami d’amore e dare valore ai messaggi delle persone che amiamo, discriminando e scegliendo a chi dare valore. Facciamo esperienza ogni giorno di questo, per esempio quando la vicinanza della persona amata a “cui siamo attaccati” basta ad alleviare un dolore o una paura.
L’attaccamento unisce due persone e agisce in modo istintuale, è un meccanismo simile all’innamoramento: il bambino è innamorato della mamma e questo è indispensabile per la sua sopravvivenza e la sua crescita. Quando non ci si “attacca” e da adulti non ci si innamora si perde una grossa possibilità di essere felici, perché l’innamoramento fa sì che i pensieri svaniscano, tutto fluisce, il rancore svanisce e anche i difetti dell’altro si perdonano con facilità quasi diventando parte significativa del “pacchetto”.
Non si può fare un lavoro terapeutico con persone che non accolgono le proprie mancanze d’amore infantile e non riconoscono in sé i tratti genitoriali tanto amati e tanto odiati. Il problema fondamentale nei legami fra le persone è la gestione dell’ambivalenza: affettività e aggressività coesistono e la capacità di gestire i conflitti dipende dal tipo di attaccamento avuto.
Un bambino non sa gestire l’ambivalenza, non può dire a se stesso: “in parte i miei genitori mi amano e in parte no” perché per la sua stessa sopravvivenza ha bisogno di sentirsi amato e protetto, per cui rimuove le esperienze dolorose e di rifiuto e si inventa un’altra verità. Le persone che non fanno un percorso di consapevolezza ripropongono ai propri figli quelle regole e quelle situazioni a cui si sono piegati da bambini: su questa catena di trasmissione si fonda l’affermazione della cultura dominante di ogni società.
Fedeltà alle tradizioni e carenza d’amore sono spesso legate fra loro: i genitori, preoccupati di osservare le consuetudini, sono spesso incapaci di amare i propri figli nelle loro diversità; noi vogliamo ribaltare quest’ottica e considerare le convenzioni sociali per quello che sono: regole che possono e devono essere modificate da ogni uomo quando si rivelano più dannose che utili.