Considerazioni notturne
di un terapeuta della famiglia

Elaborazione del testo di Carl Whitaker

Vita e Professione

Carl Whitaker, psichiatra e psicoterapeuta, scrive questo libro a 77 anni, raccontando, a tratti in modo auto-ironico e divertito, a tratti più intenso e grave, prima di sé e del suo cammino di crescita come essere umano poi, come professionista, le sue esperienze nell’ambito della psichiatria e della psicologia dei suoi ultimi quarant’anni. Cresciuto con la famiglia in una fattoria isolata presso una cittadina del Texas e impegnato nel duro lavoro di accudimento dei terreni e degli animali, conduce un’infanzia solitaria. In seguito, quando la famiglia si trasferisce in città, frequenta il liceo per poi iscriversi a medicina e specializzarsi in ostetricia e ginecologia. Dopo la laurea inizia a lavorare in ospedale ma, a seguito di un’esperienza negativa e scioccante che causa la morte di una paziente, si allontana da quel campo e inizia a lavorare all’ospedale psichiatrico di Syracuse. Fin dall’inizio i pazienti psichiatrici suscitano in lui molta curiosità e interesse: dallo psicotico alcolista convinto di vedere un gigantesco orso sul letto, allo schizofrenico che sostiene che gli sparano con un mitra dalla lampadina elettrica, all’ottantacinquenne molestatore di una bambina di otto anni. Queste esperienze stimolano il suo interesse per gli altri e inizia a chiedersi come e perché quelle persone siano diventate psicopatiche; decide così di dedicarsi alla psichiatria infantile per trovare un sistema di prevenzione.

Grazie a una borsa di studio in psichiatria si inserisce prima a Louisville nel Kentucky poi a Oaks Ridge in Tennessee e in quegli ospedali comincia a introdurre nuovi metodi di terapia con i pazienti. Modifica il setting terapeutico da individuale a familiare, introduce il gioco, l’autoironia e il rapporto autentico fra terapeuta e paziente. Motivato dal desiderio di trovare dei partner professionali per condividere le esperienze e discutere le terapie, si dedica alla co-terapia, un percorso terapeutico condiviso tra due professionisti che insieme assistono il paziente.

Come docente di Psichiatria all’Università di Atlanta si distingue per  introdurre nuove modalità d’insegnamento: agli studenti fu chiesto di partecipare per due anni a una terapia di gruppo; nel secondo anno quelli che l’hanno precedente avevano fatto terapia, potevano trattare un paziente sotto il controllo di un supervisore. Porta avanti questo metodo per oltre dieci anni con grande successo. Un altro successo lo ottenne con l’introduzione della lotta: lottare fisicamente con i pazienti al fine di trovare l’intimità del contatto fisico dove corpi e braccia avvinghiati diventano un modo per scoprire nuovi aspetti dell’altro.

A causa dell’affaticamento fra il lavoro in ospedale e l’insegnamento, Whitaker viene colpito da una serie di disturbi psicosomatici come sudori freddi, vomito, diarrea, fame, noia e decide così di condurre lui stesso un gruppo di co-terapia. Le crisi vanno avanti per qualche anno, ma in seguito, lavorando con i pazienti, impara ad aver maggiore confidenza con i propri sintomi e ad esprimere le mille sfumature delle emozioni: essere sia dolce e materno che energico ed esigente. Durante i dieci anni passati a Emory (Georgia) assieme al suo collega s’impegna a fondo nel tentativo di utilizzare la co-terapia nel trattamento degli schizofrenici, curandoli in ambiente familiare e utilizzando una psicoterapia individuale con un approccio materno.

Intanto sperimenta con i colleghi un nuovo modo per fare la terapia del nucleo familiare e quando si trasferisce all’Università di Madison nel Wisconsin, diviene terapeuta familiare a tempo pieno, abbandonando quasi del tutto la terapia individuale e dedicandosi esclusivamente all’utilizzo della co-terapia con le coppie e le famiglie. Lavorando insieme a tutti i membri dello staff, riceve da parte loro grande collaborazione. Per stimolare gli specializzandi gli chiede di sedersi accanto a lui durante le terapie e di seguire le idee che vengono loro in mente. E’ un approccio semplice: chiede loro di sentirsi liberi di partecipare o osservare; questo fa sè che a poco a poco  entrano a far parte del sistema, spesso con loro grande stupore.

Creatività professionale

Queste esperienze lo fanno crescere e migliorare come terapeuta, e a questo punto chiede alla moglie di affiancarlo nelle terapie di coppia. Egli ritiene che la personalità della moglie, la sua spontaneità e mancanza di distacco professionale, possano rendere il suo intervento molto efficace, a volte anche più del suo. In questo modo il paziente dispone di una coppia di genitori adottivi e non di due professionisti che fanno finta di lavorare in coppia o di un unico terapeuta con ruoli intercambiabili che passa dall’atteggiamento dolce a quello esigente; ovviamente  questo approccio non è sempre facile e non sempre porta a una buona riuscita della terapia.

Gli anni dopo il pensionamento iniziano ad essere per lui i più appassionanti e creativi per l’acquista libertà di movimento fuori dalla struttura ospedaliera e per non dover confrontarsi più con l’eventuale disapprovazione dei colleghi, che gli procurava sensazioni di inadeguatezza,  e neppure di presunte negligenze professionali. Si sentì soddisfatto della sua vita e rilassato, poteva finalmente godere del suo lavoro e dedicarsi a nuove scoperte.

A questo punto della vita prende vita questo testo, inizia a partecipare a seminari e convegni dove espone le sue opinioni professionali, frammenti di casi e parti profonde di sé. Il maggiore scambio con i partecipanti gli permise di ampliare il confronto con i loro condizionamenti culturali, che di solito tendevano a nascondere e a dimenticare. Durante i molti anni dedicati alla cura dei pazienti schizofrenici, trae la convinzione che l’individuo che ha pensieri distorti è una persona che combatte dentro di sé, che deve sopportare un forte stress per non arrendersi alla schiavitù sociale e rimanere una persona. “Si deve imparare a essere totalmente ciò che si è”. Ciò che spinge una persona ad andare in terapia è che, nell’essere ascoltati da un estraneo, è possibile mostrare completamente se stessi, esprimersi liberamente e proprio l’atto di rivelarsi rende più facile la conoscenza di sé. Fondamentale è imparare ad ascoltarsi, avere il coraggio di aspettare, quando non succede nulla internamente, che qualcosa accada senza doversi rifare continuamente convinzioni e regole altrui.

In questo senso simile a un terapeuta gestaltico, pone l’attenzione su fatto che la maggior parte di noi pensa al passato ed è preoccupata per il futuro invece di vivere il presente, di essere e di esistere nel luogo e nel tempo in cui è. Obiettivo principale del terapeuta è aiutare i pazienti in questo cambiamento: “liberarsi del passato e della proiezione del futuro per vivere il presente ed essere se stessi“. È un processo durante il quale la persona riorganizza il suo stile di vita e trasforma il suo sistema di valori.

Egli lavora anche molto sul concetto di intimità: come si sviluppa l’intimità fra madre e figlio nella vita intra-uterina del trauma della nascita, un distacco che rende il legame con la madre molto più forte, per l’esperienza della separazione, compensato dal contatto fisico e dal calore. Se questa esperienza è vissuta in modo positivo, crescendo il bambino sarà capace di un alto grado d’intimità con entrambi i genitori e sarà in grado di instaurare rapporti piacevoli con altre persone. Il senso di appartenenza fa si che il bambino si senta di allontanarsi, individuarsi, sviluppare il proprio senso di avventura ed esplorazione, sapendo che i genitori sono felici di lasciarlo andare e che in qualsiasi momento, specie se non si sente sicuro, può riavvicinarsi ed essere accolto.

Whitaker parla di tre tipi d’intimità: il delirio d’intimità, l’illusione d’intimità e la realtà dell’illusione.

  • Il delirio d’intimità, una sensazione euforica dove l’amato è visto sotto una luce abbagliante, che svanisce in un tempo piuttosto breve.
  • L’illusione d’intimità: la sensazione di essere tutt’uno con l’altro, ma essendo una distorsione della realtà non porta a grandi competenze relazionali e interpersonali.
  • La realtà dell’intimità cioè la creazione di un’intimità profonda dapprima nella relazione fra madre e figlio, durante la vita intra-uterina e in fase di allattamento. In seguito si aggiunge l’intimità col padre e a seconda di come si pongono i genitori l’intimità acquisisce il soggetto “noi”.

Anche se è impossibile sapere qual’è il miglio grado di intimità, un buon termometro è la sensazione di soddisfazione e serenità. Alla percezione di isolamento si risponde nella vita costruendo un NOI, che porta al  panico di perdere il SE’. La risposta a questi opposti è che l’intimità prima la si costruisce con se stessi poi con l’altro.

Molte persone pensano che la terapia sia eccessivamente intensa e intima; anche i terapeuti hanno un occhio attento su questo problema e si chiedono: mi sto identificando troppo? Devo essere più obiettivo, più freddo, più distaccato? Ma la domanda secondo Whitaker dovrebbe essere: c’è abbastanza amore? Cos’è l’amore in senso professionale? Può essere un’esperienza di gioia nell’essere in una comunicazione interpersonale, e quando ci si sente appagati e coinvolti per prendersi cura degli altri.

La crescita di un individuo è caratterizzata, dopo l’allontanamento dalla famiglia d’origine, dalle costruzione di relazioni intime, fino alla formazione di una nuova famiglia. Non si tratta di una separazione assoluta dalla famiglia d’origine, perché ciascun partner dovrebbe riuscire, per il buon rapporto della coppia, ad appartenere alla nuova famiglia senza perdere l’intimità con quella d’origine. Ma il matrimonio fa molte vittime e i partner possono entrare a far parte di giochi di triangolazione e lotte di potere. Accade ad esempio che la famiglia d’origine non sappia apprezzare la nuova vita dei figli, sente che gli viene portato via qualcosa che gli appartiene e l’atmosfera dei legami si tinge di sfida, competizione, risentimento esplicito o meno.

Il processo evolutivo di un matrimonio sano risiede nella  nascita di un figlio e nella creazione di una senso di appartenenza e alleanza fra le due famiglie. Ma tante sono le problematiche che i partner devono affrontare: capita ad esempio che già fin dalla gravidanza della moglie e poi dopo la nascita del figlio, il marito, che prima si sentiva orgoglioso, provi un senso di separazione man mano che la moglie si coinvolge sempre più nella relazione filiale. Benché cerchi di coinvolgersi nella gioia del nuovo nato spesso si sente tagliato fuori, estraniato, vulnerabile non trovando più quel calore umano che era la sua forza.

Se la coppia non fa attenzione a queste dinamiche, il bambino assorbirà tutte le attenzioni della madre a scapito della relazione con il padre e la coppia vivrà una caduta emotiva fortissima dove ognuno ritiene responsabile l’altro per la propria frustrazione.

Imparare ad amare e diventare un “NOI” senza distruggere se stessi è il lungo percorso di ogni coppia. Iniziare ad amare se stessi fino ad arrivare ad amare qualcuno di diverso da noi, accettandone le particolarità, le bellezze e le fragilità, rende la coppia e il matrimonio un magnifico gioco di squadra. Whitaker descrive due tipi di famiglie : quella biologica e quella psicosociale. Nella prima i figli e i genitori si rispecchiano gli uni negli altri e il focus è nel legame di sangue; nella seconda le persone sono profondamente unite fra loro ma ciò che li lega, oltre all’amore, sono gli interessi e gli obiettivi comuni.

Vivere in una famiglia, come vivere nella società, porta con sé non solo benessere e senso di appartenenza, ma anche molto  stress per i ruoli che si devono assumere. Le nostre vite sono piene di ruoli, da quello sul lavoro, nei gruppi sociali, a quelli che ricopriamo nella famiglia. Interpretiamo ruoli, più o meno imposti o scelti; importante per vivere bene e mantenere ognuno la propria integrità, forza e motivazione è che essi siano in qualche misura modificabili.

La Terapia Familiare

Nella terapia familiare si confonde spesso l’origine della sofferenza con lo sviluppo dei sintomi. L’origine del problema può essere vista nella rottura dell’armonia della famiglia d’origine e nel caos che ne deriva per tutti o per uno dei membri. Condizione essenziale per il successo della terapia è che il terapeuta sia in grado di entrare in empatia con il loro dolore dei vari membri, riuscendo al tempo stesso a definire e far rispettare, nel setting terapeutico, delle regole di comunicazione, dimostrando la propria forza nel creare un contesto sano in cui ognuno si possa esprimere.

Le persone chiedono un colloquio spinte dal loro dolore, dalla speranza di poter eliminare le sofferenze e diventare più forti. Nella terapia famigliare, il terapeuta in un prmo tempo osserva chi è più o meno coinvolto, cerca di capire se la persona che ha chiamato è stata delegata dalla famiglia o lo ha fatto di sua iniziativa e quali familiari sono partecipativi, quali osservatori. Il secondo passo è il colloquio dove il terapeuta cerca di stabilire un rapporto con ogni membro senza coalizzarsi, ma esplicitando il punto di vista dei vari membri, i loro preconcetti e le vere ragioni che spingono la famiglia a seguire una terapia per  portarli a parlare apertamente. L’intento è di restituire ad ognuno la forza e il potere per alleviare l’ansia che riversano l’uno o l’altro nella convinzione di potersi risollevare dal caos che li ha condotti dal terapeuta.

In ogni terapia, individuale, di coppia, o familiare, la forza, il potere e la sicurezza iniziale del terapeuta devono diventare la forza, il potere e la sicurezza del paziente. In questo senso è implicito il concetto di genitorialità cioè la capacità di essere efficienti nel prendersi cura di qualcuno e permettergli di crescere in modo libero e completo, sapendo esprimere i propri sentimenti per raggiungere una maggiore intimità e consapevolezza di sé. Anche la capacità di confortare deve e può essere trasferita dal terapeuta al paziente.

Gli effetti positivi della psicoterapia, quando è efficace, sono molti, come la libertà dal passato e dal terrore che qualcosa possa ripetersi; questo dovrebbero favorire un costante sviluppo della personalità del paziente, nella quotidianità. Obiettivo finale è ottenere un rafforzamento della personalità, dell’individualità e dell’autostima. L’esperienza terapeutica ha luogo se un paziente, per sua scelta, si mette in posizione subordinata all’altra persona, con la speranza di essere aiutata; d’altro canto, il terapeuta può riuscire nel suo intento se è attento, comprensivo e indirizza gli sforzi del cliente verso la ricerca di sé, perché impari a essere più forte, più aperto, più consapevole.

La terapia ha vari orientamenti: da un lato l’eliminazione del sintomo stimola il terapeuta ad agire creando una relazione simile a quella di un maestro che incoraggia l’allievo a leggere e a studiare, ma finisce per fargli perdere la forza di prendere l’iniziativa amplificando la sua dipendenza. Dall’altro lato il terapeuta può agire verso l’autonomia per ridare potere al paziente o alla famiglia: in questo non offre sostegno diretto, ma aiuta l’altro ad acquistare forza, a prendere iniziative e ad essere responsabile di sé stesso, anche se al momento non sa come fare e deve sperimentare.

Perfezionare il ruolo di terapeuta richiede una difficile fusione tra la capacità di essere una persona e la capacità di entrare in un ruolo. I pazienti temono che i loro sforzi, i loro insuccessi li sminuiscano agli occhi del terapeuta, temono di essere esposti a umiliazioni o di perdere il controllo di se stessi. D’altra parte a volte l’ego del terapeuta è così sconfinato da fargli credere di essere una vera rivelazione e che la trasmissione della propria conoscenza sia magicamente terapeutica. In realtà nessuna terapia può funzionare finché non siano stati definiti i confini della responsabilità e della libertà di ciascuno di proseguire o meno la terapia e l’impegno reciproco nel processo terapeutico.

Il processo terapeutico può essere suddiviso in varie fasi:

  1. La prima fase dove il terapeuta raccoglie in breve la storia di vita del cliente, le sue aspettative, la sua sofferenza, il senso di fallimento. In questa fase il terapeuta ha la responsabilità di decidere se prendere in carico il paziente oppure no.
  2. La fase centrale del processo che consiste nell’ascolto e nello sviluppo di un’alleanza, il rifiuto di stabilire a priori la durata della terapia, per non creare illusioni.
  3. Poi vi è la fase della completa alleanza in cui si comincia a esplorare presente, passato, futuro Vi saranno momenti di stallo e anche di peggioramento in cui è bene che il terapeuta condivida il proprio senso di fallimento e si confronti con la propria impotenza per poi accettare di portare avanti la terapia o porvi fine.
  4. La conclusione: quando si conclude in un modo soddisfacente il paziente sente maggior libertà creativa e integrazione e spesso vi è un accordo per eventuali alleanze future se necessarie. Quando si conclude con un insuccesso per la troppa dipendenza dalla terapia, o per situazioni di stallo immobilizzanti che diventano vicoli ciechi senza prospettive occorre interrompere perché è come se il processo dell’esaminare diventasse più importante della vita stessa.

Chiunque abbia fatto psicoterapia di gruppo sa perfettamente che i contributi verbali di un partecipante sono sempre utili a qualcun altro o, addirittura a tutti. Una buona psicoterapia dovrebbe essere indirizzata non verso il migliore adattamento del paziente, ma verso la sua crescita e il suo senso di potere, in modo che possa servirsene nella vita come meglio crede. Più il professionista riconosce i propri limiti, più imposta la terapia in modo efficace. Più si dedica ad avere una vita soddisfacente in modo da non esaurire il suo tempo nel lavoro, più la terapia avrà un riscontro soddisfacente. Essere terapeuta significa essere una persona che per denaro si offre ad aiutare l’altro a diventare sempre più quello che è. Il terapeuta prima impara ad essere paziente poi impara a fare psicoterapia; questo lo porterà a sapersi mettere in discussione, ad assumere vari ruoli, ad essere empatico, ad evitare di diventare iperprotettivo, ad imparare a separarsi, che a volte è più difficile che stare assieme.

Maggiore efficacia terapeuta e di apprendimento come paziente la si ottiene quando si fa psicoterapia di gruppo, perché si è più liberi di vedersi reciprocamente e di essere spontanei. Allo stesso modo, il miglior apprendimento come terapeuta lo si ha, quando si trattano le persone assieme a dei colleghi; Whitaker afferma che alcuni casi difficili, trattati insieme ai colleghi, gli hanno permesso di imparare come affrontare in maniera positiva la sua aggressività e come correggere la sua tendenza, a essere iperprotettivo e troppo disponibile. Fare esperienza terapeutica significa imparare facendo, piuttosto che imparare da un maestro.